Iran: regista incarcerato in sciopero della fame

“Dieci persone sono state arrestate in relazione all’abbattimento di una statua raffigurante un paramilitare Basij ad Abdanan, nella provincia occidentale iraniana di Ilam”.

Così il prefetto provinciale Abdul Wahab Bakhshandeh, come ha indicato Bbc Persian. Inoltre, ha aggiunto che cinque persone sono rimaste ferite negli scontri divampati nel corso della manifestazione, che ha portato all’abbattimento della statua. Alcuni video diffusi dagli attivisti sui social media avrebbero mostrato dimostranti dare fuoco alla bandiera della Repubblica islamica, al grido “morte al dittatore” in relazione alla guida suprema Ali Khamenei.

Sono ormai cinque mesi che si verificano proteste anti-governative in Iran. Le manifestazioni sono cominciate dopo la morte di Mahsa Amini, 22enne di origine curda deceduta il 16 settembre a Teheran, dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale, perché avrebbe portato il velo in modo corretto.

“Porto a questa platea la voce del mio popolo in un momento buio. In Iran da tempo si stanno susseguendo accese proteste contro il Governo a causa delle violenze della cosiddetta polizia morale nei confronti soprattutto delle donne, costrette a coprirsi completamente dalla testa ai piedi per uscire di casa, vedendosi negate i più basilari diritti di libertà personale”. Con questa testimonianza Samira Lofti Khah, cittadina iraniana e componente della segreteria della Flai-Cgil Caserta, ha aperto i lavori del XII congresso della Cgil Campania, in corso fino a domani alla stazione marittima di Napoli, portando la voce delle donne e degli uomini che in Iran stanno combattendo una battaglia di libertà contro la repressione degli Ayatollah. “La protesta inizialmente partita dall’uccisione di Mahsa Amini – ha evidenziato – in breve tempo ha visto il coinvolgimento di tutta la popolazione, unendo donne e uomini sotto il grido donna, vita, libertà. Mahsa, dopo l’arresto, è stata picchiata a morte dagli agenti, scatenando in tutto il Paese violenze che hanno causato, finora, almeno 500 morti e 10 condanne a morte accertate, inflitte con processi farsa in cui viene negata la presunzione d’innocenza e ogni diritto a difendersi. Chi non è stato condannato a morte – ha continuato – è stato torturato fino a ottenere, con la violenza, confessioni forzate. Donne e uomini che pagano con la loro vita il diritto di esistere e di liberarsi da un regime. Non è tollerabile, nel 2023, che le donne vengono uccise per una ciocca di capelli. Le proteste non possono cessare adesso che il mondo sta conoscendo la realtà del regime degli ayatollah, che si traduce in un umiliante disprezzo per i propri cittadini e per la vita umana. Finalmente, in questi giorni, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno inserito i pasdaran nella lista dei terroristi”.

In ultimo, il regista iraniano Jafar Panahi ha dato vita a uno sciopero della fame e della sete, chiedendo di essere rilasciato dal carcere Evin di Teheran, dove si trova da luglio. La vicenda è stata resa nota dal portale in persiano, con sede a Londra, Iran International. In un messaggio condiviso su Instagram, ha fatto sapere: “Mi rifiuterò di bere o mangiare e prendere medicine fino al momento del mio rilascio. Resterò in questa situazione fino a che forse il mio corpo senza vita sarà liberato dalla prigione”.

Panahi, secondo quanto appreso, è stato arrestato più volte a causa della sua attività artistica. Nel luglio del 2022, peraltro, è stato nuovamente incarcerato, dopo essersi recato alla prigione Evin di Teheran per aver informazioni su Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad.

Aggiornato il 02 febbraio 2023 alle ore 15:50