Aspettare di sapere quale sarà il tuo destino in un carcere
sovraffollato a Peshawar, dove qualunque giovane pakistano
tossicodipendente può ammazzarti per pochi dollari, non è
esattamente la fine che il dottor Shakil Afridi pensava di fare
quando decise di collaborare con la Cia per l'identificazione di un
"target" terroristico del quale a lui mai dissero il nome, nel
2011, quando si recò in America per studio. Anzi il dottor Afridi
(che solo un anno e mezzo prima aveva scampato un giudizio clanico
o tribale che dir si voglia con l'accusa di avere curato male
e non evitato la morte di un guerrigliero talebano, e fu salvato
solo da un altro militante che invece testimoniò che Afridi a lui
la vita la aveva invece salvata) pensava che aiutare l'America a
liberare il Pakistan dal terrorismo, che si nasconde dietro la
religione islamica, avrebbe a lui portato riconoscimenti e
merito.
"Newsweek "nel numero da poco in edicola ha ricostruito per filo
e per segno il ruolo del dottor Afridi. Per capire cosa rischia
questo medico che ha anche coinvolto la Ong "Save the Children" di
cui faceva parte. Basta riportare le parole raccolte dal
corrispondente di "Newsweek" e attribuite al portavoce dei talebani
pakistani Ehsanullah Ehsan: «Osama bin Laden era il nostro eroe, e
Shakil ha aiutato gli Stati Uniti ad ucciderlo. Egli è oggi
il nostro nemico ed è wajib-ul-Catal». Cioè: "degno di essere
ammazzato". E anche i membri del tribunale clanico che lo avevano
assolto, oggi concordano: «Quel maledetto serpente dovevamo
ucciderlo all'epoca».
Afridi, in realtà, avrebbe dato un contributo solo indiretto
alla cattura di Bin Laden: gli fu infatti chiesto di andare a
vaccinare anche i bambini del famoso compound contro la polio, così
come tutti gli altri, e lui si presento a bussare ingenuamente,
senza sapere chi ci fosse all'interno, a casa Bin Laden. Non gli
rispose mai nessuno. Due anni prima, la Cia aveva saputo, che
Afridi aveva già somministrato il primo richiamo antipolio e
antiepatite a sette bambini che abitavano nel compound. Per cui ce
lo rimandarono. Stavolta i bambini non furono sottoposti di nuovo a
vaccino, perché probabilmente qualcuno aveva cominciato a pensare
che la cosa potesse non essere sicura. La Cia voleva avere la prova
che il Dna fosse quello dei Bin Laden, di cui aveva già numerosi
reperti. Il 21 aprile, dieci giorni prima del blitz, Afridi e la
sua assistente Amna si recarono di nuovo al compound, ma nessuno
ripose. Allora si recarono a una casa lì vicina in cui c'era un
vecchio di 80 anni che conosceva il segretario e messaggero di Bin
Laden, il noto Tariq Khan, anche lui abitante con i suoi figli
piccoli del compound. Il vecchio si convinse a dare al dottor
Afridi il cellulare di Tariq. E così lui lo chiamò. Pare che Tariq
abbia risposto dicendo di essere lontano da casa e che una volta
rientrato avrebbe chiamato lui per la vaccinazione. Invece non
chiamò mai. Ma quella telefonata diede la possibilità alla Cia di
sapere il numero della persona, attraverso le intercettazioni
Echelon sulla zona da tempo monitorata e quindi anche senza il Dna
di Bin Laden ebbero la ragionevole certezza della sua presenza in
loco. E dieci giorni dopo diedero il via al blitz con cui Barack
Obama si è assicurato almeno un buon 50% di probabilità della sua
rielezione.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:40