Shakil Afridi, eroe inconsapevole

martedì 12 giugno 2012


Aspettare di sapere quale sarà il tuo destino in un carcere sovraffollato a Peshawar, dove qualunque giovane pakistano tossicodipendente può ammazzarti per pochi dollari, non è esattamente la fine che il dottor Shakil Afridi pensava di fare quando decise di collaborare con la Cia per l'identificazione di un "target" terroristico del quale a lui mai dissero il nome, nel 2011, quando si recò in America per studio. Anzi il dottor Afridi (che solo un anno e mezzo prima aveva scampato un giudizio clanico o tribale che dir si  voglia con l'accusa di avere curato male e non evitato la morte di un guerrigliero talebano, e fu salvato solo da un altro militante che invece testimoniò che Afridi a lui la vita la aveva invece salvata) pensava che aiutare l'America a liberare il Pakistan dal terrorismo, che si nasconde dietro la religione islamica, avrebbe a lui portato riconoscimenti e merito. 

"Newsweek "nel numero da poco in edicola ha ricostruito per filo e per segno il ruolo del dottor Afridi. Per capire cosa rischia questo medico che ha anche coinvolto la Ong "Save the Children" di cui faceva parte. Basta riportare le parole raccolte dal corrispondente di "Newsweek" e attribuite al portavoce dei talebani pakistani Ehsanullah Ehsan: «Osama bin Laden era il nostro eroe, e Shakil ha  aiutato gli Stati Uniti ad ucciderlo. Egli è oggi il nostro nemico ed è wajib-ul-Catal». Cioè: "degno di essere ammazzato". E anche i membri del tribunale clanico che lo avevano assolto, oggi concordano: «Quel maledetto serpente dovevamo ucciderlo all'epoca».

Afridi, in realtà, avrebbe dato un contributo solo indiretto alla cattura di Bin Laden: gli fu infatti chiesto di andare a vaccinare anche i bambini del famoso compound contro la polio, così come tutti gli altri, e lui si presento a bussare ingenuamente, senza sapere chi ci fosse all'interno, a casa Bin Laden. Non gli rispose mai nessuno. Due anni prima, la Cia aveva saputo, che Afridi aveva già somministrato il primo richiamo antipolio e antiepatite a sette bambini che abitavano nel compound. Per cui ce lo rimandarono. Stavolta i bambini non furono sottoposti di nuovo a vaccino, perché probabilmente qualcuno aveva cominciato a pensare che la cosa potesse non essere sicura. La Cia voleva avere la prova che il Dna fosse quello dei Bin Laden, di cui aveva già numerosi reperti. Il 21 aprile, dieci giorni prima del blitz, Afridi e la sua assistente Amna si recarono di nuovo al compound, ma nessuno ripose. Allora si recarono a una casa lì vicina in cui c'era un vecchio di 80 anni che conosceva il segretario e messaggero di Bin Laden, il noto Tariq Khan, anche lui abitante con i suoi figli piccoli del compound. Il vecchio si convinse a dare al dottor Afridi il cellulare di Tariq. E così lui lo chiamò. Pare che Tariq abbia risposto dicendo di essere lontano da casa e che una volta rientrato avrebbe chiamato lui per la vaccinazione. Invece non chiamò mai. Ma quella telefonata diede la possibilità alla Cia di sapere il numero della persona, attraverso le intercettazioni Echelon sulla zona da tempo monitorata e quindi anche senza il Dna di Bin Laden ebbero la ragionevole certezza della sua presenza in loco. E dieci giorni dopo diedero il via al blitz con cui Barack Obama si è assicurato almeno un buon 50% di probabilità della sua rielezione.

di Dimitri Buffa