Quanta ipocrisia sul video di una Gaza ricca

Per carità il kitsch e il cattivo gusto del video su una Gaza finalmente ricca e prospera con statue d’oro di Donald Trump e lancio di soldi tra la folla di Elon Musk non si discutono. Anche se poi Gaza, prima della guerra di reazione di Israele, inevitabile, era divisa a metà: da una parte i palestinesi schiavi di Hamas nei loro eterni campi profughi, dall’altra grattacieli per sceicchi con vista mare, ampiamente reclamizzati pure sui media arabi. Anche in quel contesto i “poveri palestinesi” erano camerieri. Ma degli sceicchi del golfo non di quell’arrogante yankee. E quindi quello andava bene. Resta da chiedersi perché tanti sociologismi pauperisti d’accatto. E tanta retorica filo-jihad. Perché tanti richiami assurdi a una resistenza che è un’invenzione degli amici del terzomondismo e del terrorismo islamico finanziato dall’Iran? Tutti i Roland Barthes in sedicesimo che negli scorsi giorni di sono scatenati ad analizzare semioticamente quello che poi è un prodotto confezionato “ai mezzi” tra un’Intelligenza artificiale e una probabile idiozia naturale tradiscono nella loro indignazione il solito vizio di chi non ama la ricchezza ma neanche i poveri.

Bensì quella idea di grigia povertà dei popoli che si dominano meglio con un piatto di riso e lenticchie a testa piuttosto che cercando di costruirne il benessere. È come se il testimone di quell’orrore che fu il comunismo sia stato raccolto a metà dal ribellismo jihadista dell’Islam geopoliticamente fomentato nelle forme del fanatismo di massa e da quel che resta delle socialdemocrazie europee sempre pronte a giustificare i crimini politici commessi in nome di non si sa più neanche bene quale istanza rivendicativa, territoriale, religiosa o esistenziale che sia. In realtà, è noto solo l’oggetto dell’odio feroce di questi personaggi che allignano soprattutto in Italia ed Europa ma in parte anche oltre oceano tra i “democrats”: la ricchezza, specie esibita. In nome di questo odio misto a senso di colpa per l’ormai lontano colonialismo dell’Ottocento e del primo Novecento si sono incoraggiate rivolte popolari che hanno mandato al potere in quasi tutta l’Africa dittatori sanguinari e in alcuni casi dediti al cannibalismo rituale.

Dittatori che sono rimasti al potere per periodi paragonabili a quelli della pregressa colonizzazione. E si odiano quindi i Paesi che più incarnano il capitalismo: cioè gli Stati Uniti, il grande Satana, e Israele, il piccolo Satana. D’altronde, questa svolta islamica del comunismo ebbe le proprie avanguardie negli apologeti della Rivoluzione khomeinista. Chi scriveva all’epoca su Lotta continua lo sa bene. Salvo chiedere scusa in un secondo momento quando i khomeinisti si liberarono fisicamente dei loro complici rivoluzionari comunisti una volta raggiunto il potere. E ancora oggi a quasi cinquant’anni da quei tragici fatti, con mezzo mondo massacrato dalle dittature di rais che o si richiamano all’Islam geopolitico o a quel che resta del marx-leninismo, opprimendo popoli, e minoranze etniche e religiose, per non parlare di donne e omosessuali, il nemico rimane la ricchezza e i Paesi che si ostinano a vivere nella logica del mercato.

Che pur tra tante contraddizioni, ultimamente anche un po’ inquietanti, resta l’unico sistema economico che può garantire un minimo di politica liberale e democratica (in questo ordine, ndr). Loro, i benpensanti progressisti possibilisti con l’Islam dei tagliagole, non possono combattere la povertà né aiutare i poveri, ma sicuramente riescono a contrastare la ricchezza e il benessere, aiutando i ricchi a non essere più tali. Donald Trump e Elon Musk e le creature kitsch dell’Intelligenza artificiale ritwittati dai suddetti diventano quindi il comodo simbolo della nuova Babilonia da abbattere. Sono quelli i video che indignano. Non quelli girati in diretta dai terroristi di Hamas il 7 ottobre mentre massacravano, stupravano e mutilavano centinaia di israeliani telefonando alla madre su WhatsApp vantandosi di stare sgozzando e stuprando una donna ebrea. E documentando tutto sui social. Quei video non indignano nessuno. Nessuna analisi linguistico semantica. Anzi, meno se ne parla e meglio è.

Aggiornato il 03 marzo 2025 alle ore 09:51