Spesso (soprattutto dai grillini) si cerca di dimostrare quanto pletorico sia il Parlamento italiano se raffrontato ai numeri del Congresso Usa e alle popolazioni delle due nazioni. Il paragone è improprio: non tiene, infatti, conto del sistema legislativo statale, bicamerale anch’esso, i cui membri, se sommati, ammonterebbero a una cifra ben più copiosa. Fragile anche l’argomentazione che questi organi sarebbero paragonabili alle assemblee delle nostre regioni: ogni stato americano ha infatti la propria costituzione e competenze normative assai più ampie delle materie permesse dal nostro titolo V. In particolare in materia di diritto societario, diritto di famiglia, ordine pubblico e diritto penale (cfr. tema pena capitale) etc. Né si può sostenere che in ogni stato americano manchino assemblee di enti di rango inferiore, delegati alla gestione amministrativa, su base territoriale, fino a livello dei distretti cittadini.
Il potere legislativo negli Usa è quindi basato su entrambi i sistemi federale e statale. Che cumulativamente conta quasi 6mila parlamentari. Chi volesse può ricalcolare il raffronto sul complesso dei loro componenti.
Peraltro, non possiamo non aver simpatia per chi vagheggia il sistema americano. Purché si prenda l’intero “pacchetto”. Incluso quello che concerne i poteri esecutivo e giudiziario. In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo, il meccanismo di selezione dei pubblici ministeri che - a differenza del nostro paese, dove la magistratura è casta autoreferenziale e intoccabile - sono sottoposti alla scelta e al giudizio delle urne. E laddove la parità delle parti nel giudizio penale è garantita dalla reale terzietà del giudice.
Ciononostante, in linea di principio, da convinti miniarchisti sensibili all’alleggerimento del peso dello stato sull’economia, potremmo essere d’accordo con la riduzione del numero dei parlamentari se tale misura non venisse, sciaguratamente, combinata con la riforma del sistema elettorale in senso proporzionale.
Si dimentica che molti italiani si erano già espressi negli ultimi 30 anni contro tale sistema di voto. Si diceva - a ragione, crediamo- che favorisse il voto clientelare e i grandi collettori di voti movimentati dalle organizzazioni criminali.
Con il combinato disposto delle due riforme, di fatto, verrà cancellato proprio quel terzo dei componenti attualmente eletto con il sistema maggioritario.
A valle di tale riforma si correrà il concreto rischio di veder aumentato il peso della componente eletta con questi meccanismi, soprattutto dove le mafie sono più capillarmente presenti.
Inoltre, in un Senato di 200 membri potrà crescere il potere di interdizione, nella formazione delle maggioranze e dei processi legislativi, dei vari componenti non eletti (senatori a vita ed ex Presidenti), ad oggi praticamente tutti simpatizzanti di un’unica fazione politica.
Se le ragioni, come propagandato dai principali sponsor della riforma, fossero solo economiche, si sarebbe potuto più semplicemente risparmiare il costo dell’attuale rappresentanza parlamentare tagliando del 30% le relative prebende. Una misura utile anche per smascherare l’ipocrisia dei “rimborsi grillini”, assai sovente non eseguiti, per comoda dimenticanza.
In conclusione, il dibattito sul tema si riduce tra chi vuole mantenere la rappresentatività degli elettori e chi, invece, preferisce che gli indirizzi e le scelte politiche siano esternalizzati a favore di opachi sistemi decisionali di democrazia diretta o, peggio, di pericolose gestioni clientelari del voto.
Aggiornato il 25 febbraio 2020 alle ore 13:36