Bisogna risalire a non pochi anni fa, all’epoca berlusconiana, per valutare un paragone fra i maltrattamenti mediatici riservati al Cavaliere e quelli che Matteo Salvini suscita e sta suscitando da parte dei suoi avversari. Da mane a sera.
E lasciamo perdere le reciproche accuse a proposito dell’odio, ben sapendo che le nostre sarebbero prediche al vento perché di “odio”, l’un contro l’altro ce n’è per tutti, anche e soprattutto per le spinte di una campagna elettorale permanente che contraddistingue questi tempi politici.
Non a caso parliamo di permanenza elettoralistica negli scontri fra i partiti (sia pure a distanza di anni dalla scadenza naturale delle urne) con i comportamenti delle forze in campo, osservandone gli effetti riferiti appunto alla figura del leader della Lega.
Nessun freno, anche mediatico, nel ritmo accusatorio vedendo in Salvini non tanto o soltanto il maggior fruitore di consensi nei sondaggi ma, soprattutto, colui che molto probabilmente farà il cosiddetto pieno alle elezioni che verranno.
Il problema, come si dice, è politico e risiede innanzitutto nelle parole d’ordine salviniane, tipo migranti, ordine pubblico e sicurezza, della cui semplicità e immediatezza si vorranno da diverse parti richiamare critiche di populismo, ma proprio da queste critiche le spinte ulteriori a favore invece di diminuirne la portata ne aumentano i consensi poiché le risposte del Governo, quando ci sono, sembrano avvolte in un sudario di balbettamenti, di vaghezze, di promesse parolaie alla cui base stanno sia i silenzi, le incapacità e i timori per procedere in senso opposto – vedi i migranti ma non si osa farlo per paura di pagarne un prezzo elettorale – sia soprattutto l’assenza di un progetto programmatico politico di M5S e Pd, non dimenticando che l’unica e vera ragione della nascita di questo Esecutivo era l’eliminazione di Salvini da qualsiasi velleità governativa.
In questo senso la trasformazione di Salvini nel male dipingendolo mediaticamente come un vero pericolo per le istituzioni non poteva che risolversi nel suo rafforzamento ulteriore anche in virtù delle indubbie qualità politiche del “Capitano”.
Assistiamo ad una sorta di demonizzazione del leader della Lega, compiendo un lavoro alla rovescia, non risolvendo cioè ai diversi livelli i problemi di cui sopra, ma tentando day-by-day di diminuire, smorzare, silenziare i suoi slanci che – vedi il caso emblematico della nave Gregoretti con lo scopo di rinviarne a dopo la soluzione per non offrirgli altri argomenti mostrandosi come vittima – lungi dal diminuire, otterranno ulteriori conferme da parte di un Paese sempre più disincantato e scettico di fronte alla inconsistenza di chi regge la cosa pubblica.
Come dicevano i latini, repetita iuvant, a proposito, per l’appunto, delle origini dell’attuale formula governativa che fin d’allora è marchiata indelebilmente da un “odio politico” ad personam.
Anche da quel marchio “contro”, di un programmatico e implacabile “no”, Salvini ha saputo trarre nuovi motivi e nuovi balzi (per ora nei sondaggi) mutandolo nel suo opposto, trasformando l’antisalvinismo in una ragione in più per ottenere nuovi consensi.
Aggiornato il 20 gennaio 2020 alle ore 10:56