Alberto Alesina e Francesco Giavazzi formano una bella società. I loro consigli sono apprezzabili, in genere, da qualsiasi liberale vero, cioè non liberal. Tuttavia hanno una sorta di fissazione, condensata nel libro “Il liberismo è di sinistra”. Anche di recente l’hanno confermata in un fondo sul Corriere della Sera intitolato “Il liberismo che serve ai deboli”.
Innanzi tutto, a voler malignare, non capisco se si tratta di affermazione o invocazione; poi, perché sarebbe diventato di sinistra tutto quello che le sinistre di qualsiasi sfumatura hanno sempre bollato di destra; infine, a che giova ascrivere alla sinistra semplici verità che, in quanto tali, non sono di sinistra più di quanto siano di destra. Esse appartengono infatti al novero di quelle verità che Machiavelli qualificò “effettuali” perché aderenti alla realtà. Se la ditta Alesina&Giavazzi ha “lo scopo di scrivere qualcosa di utile per chi vuol capire”, dovrebbe “inseguire la verità concreta, piuttosto che le fantasie”, come notava il Segretario fiorentino.
E tale verità, spogliata delle “immaginazioni” e delle “fantasie”, è dunque una e si chiama libertà. Eppure non basta. Qui viene il bello. Ridurre la povertà, abolire i privilegi immeritati, lasciare le risorse alle imprese produttive, liberalizzare il mercato del lavoro, premiare il merito, punire il demerito, non asfissiare con i tributi, competere all’interno e all’estero, eccetera, dobbiamo considerarlo liberismo di sinistra? Non rischiamo di scivolare nella distinzione tra libertà buona e libertà cattiva per cui il liberismo di sinistra sarebbe quello da promuovere e il liberismo di destra quello da condannare?
A ben vedere, come ben sanno Alesina e Giavazzi, il liberismo di sinistra non è altro che il modo con cui la società libera (governo rappresentativo, imperio della legge, economia di concorrenza, libero commercio internazionale, umanesimo liberale) produce naturalmente quei vantaggi per i deboli, i poveri, i meno fortunati. Se le sinistre hanno bisogno di essere incoraggiate a ricredersi del loro statalismo e interventismo, non bisogna vellicarle dicendo loro che tutto ciò che funziona socialmente è di sinistra, accreditando falsamente ad esse il liberismo. Bisogna invece convincerle che hanno sbagliato per decenni a combattere la libertà economica come parte malata della libertà politica e che devono pentirsene e diventare conseguenti.
Durante il Medioevo il precetto di astenersi dal mangiare carne il venerdì era formalmente tassativo. Sennonché capitava nei conventi che l’abate, nel dare inizio al pranzo con un grosso lacerto di bue, pronunciava compìto la formula: “Ego te baptizo piscem”, così salvando dal peccato l’anima sua e dei suoi frati. Ecco, non c’è alcun bisogno di battezzare “di sinistra” il liberismo perché non solo non è una colpa ma adottandolo la società acquista quei pregi che ha perso allontanandosene.
Aggiornato il 22 novembre 2018 alle ore 10:27