È scontato per molti mettere fra chi ha perso quel ministro Giovanni Tria che difendeva, fino a ieri e a denti stretti, la bandiera del non superamento, almeno, del 2 per cento, altrimenti se ne sarebbe andato e l’Europa avrebbe bocciato la manovra. Sul ministro rimasto al suo posto le considerazioni più appropriate e più sagge mi sembrano quelle del direttore, mentre sullo sfondo delle dimissioni minacciate era ed è facile intravedere la longa manus di Sergio Mattarella tesa a mantenere non soltanto Tria nel governo, ma ad evitare crisi in momenti calamitosi come questo. Tutto vero, anzi, tutto scontato.
E il collocamento sul palco della vittoria è non meno facile sol che si ripeschino le notturne immagini di un trionfante Luigi Di Maio fuori Palazzo Chigi; immagini peraltro ripetute da quel momento in poi in un continuum incessante di presenzialismo televisivo, il che non può non confermare e semmai potenziare il ruolo di quel Rocco Casalino intrecciato agli scoop dimaiani secondo l’antica ma sempre valida teoria che in tivù ciò che conta e fa vincere è esserci, sempre e comunque. È la politica (di Casalino), bellezza! Dello stesso, diciamocelo almeno inter nos, che minacciava - con parole niente affatto forbite e invettive non precisamente eleganti - vendetta, tremenda vendetta sul Mef in caso di mancato allineamento alle decisioni governative. È l’altra politica, quella del “vaffa”.
E ha ragione da vendere l’onorevole Cirino Pomicino, capace e brillante protagonista della politica d’antan e lucido osservatore di quella di oggi, definendo niente affatto rivoluzionaria la scelta del governo del nuovo che avanza ma, semmai, erede diretta del modo di governare (debito pubblico!) della Prima Repubblica e seguenti. Ma tant’è.
Per vincitori e vinti, comunque, varrebbe la pena una riflessione politica, a un tempo cauta eppure necessaria non tanto o non soltanto sullo stato dell’economia italiana quanto piuttosto su un altro Stato, il nostro, nel quadro di quell’Europa tirata in ballo così frequentemente, a volte minacciosamente, in questi giorni. È pur vero che le due forze vincenti al governo godono nei sondaggi del favore di un italiano su due, e questo consente loro di guardare con un certo ottimismo alla scadenza primaverile delle elezioni europee. Ma il quaranta per cento degli elettori, come nel caso di Renzi, non è sempre un lascito per inevitabili vittorie, sol che si pensi a Matteo Renzi, appunto, che aveva considerato il doppio quaranta per cento al referendum e alle elezioni europee come acquisito. E invece... Capita, come si dice. Ma capita anche perché, pensando alla scadenza di marzo, bisognerebbe che almeno ci facciano caso le forze che si proclamano europeiste e proprio all’indomani di un successo di quelle altre forze (leghiste e pentastellate), che non temono affatto le non improbabili ritorsioni di Bruxelles di cui erano e sono coscienti quasi attendendole come terreno di scontro in nome sia del “se ne faranno una ragione!” sia del costi quel che costi, al massimo ci cacciano e, finalmente, addio alla prigione di Euro e Europa. Evviva il sovranismo!
Il fatto è che tocca proprio ai non euroscettici di “indicare le strade di una riforma degna di questo nome delle istituzioni europee anche con un progetto ‘federale’ che preservi un ruolo alle identità nazionali al di là di una generica Europa unita” che, semmai, presupporrebbe una prospettiva neo centralista” e, ovviamente, respingendo il “nessuna Europa” dei sovranisti in nome di un autentico rilancio di un’unità continentale indirizzata secondo un progetto alto, forte e possibile per tutti coloro che vogliono un’altra Europa.
E come non riflettere sul tema scottante di un’immigrazione poco o punto staccata dalla questione europea e sulla quale si è notato da noi un’impressionante sottovalutazione dell’impatto emotivo e sociale dei flussi non gestiti, senza garanzie di controlli, senza serie politiche d’integrazione dei richiedenti asilo, basate sul lavoro e sull’apprendimento della lingua. Tematiche che si collegano con la questione del welfare, a sua volta strettamente intrecciata con lo sviluppo ambientale e turistico, ma soprattutto industriale; e basti ricordare a tal proposito la questione Ilva, la Tav e quella Genova in cui i miti vistosi e imperdonabili del governo sono e saranno la vera palla al piede di una coalizione di cui non si contestano affatto gli inni alla vittoria di ieri al di là di risate, urla e sbracciamenti mediatici. Bisogna ricordarsi sempre dell’antica e sempre attuale massima della nonna: ride bene chi ride ultimo!
Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 18:38