Vitalizi fra demagogia e populismo, e il resto?

Intendiamoci, ogni risparmio in epoca di necessità di cassa è il benvenuto. E così sia. Così sia, ovviamente, anche per i vitalizi nel mirino dei pentastellati, manco fossero diventati il simbolo del peggio del peggio dell’infausto regime partitocratico, ed è probabilmente in questo eccesso da sbandieramento mediatico, in questa simbologia strapazzata e mostrata come una specie di monstrum da cancellare – cui risponde, peraltro, un dignitoso silenzio degli interessati – che sta il limite di un’iniziativa dai suoi aspetti positivi, non fosse altro che per tenere a bada il suddetto popolo, almeno per qualche mese, fermo restando che anche l’altra battaglia pentastellata contro le cosiddette pensioni alte, altissime, ha un fondo, peraltro molto profondo, di oggettività che, tuttavia, incontrerà quasi insormontabili opposizioni legali che non tarderanno a venire. Va peraltro aggiunto che tali mosse sono a costo zero ma rendono molto, secondo non pochi osservatori. Poi, si vedrà.

Tuttavia, se il limite, visibile e a suo modo simbolico di simili iniziative, si colloca in una dimensione sostanzialmente politico-mediatica al di là della loro portata e consistenza economica, resta comunque la netta sensazione che, al di là della stessa non incisività del provvedimento sulle tasche della stragrande maggioranza degli italiani, la coalizione Di Maio-Salvini preferisca andare sul sicuro evitando, fin che può, ben altre scadenze, ben altri interventi, ben altri, come si dice, sacrifici. Del resto, persino nella lotta senza quartiere salviniana a proposito di immigrazione e sbarchi è facile la riscontrabilità quotidiana della trasformazione di questa battaglia in tribuna televisiva, in poliedrica successione di messaggi via media, di interviste con battute secche, giudizi fermissimi e impegni, anche notturni, proclamati sempre e comunque grazie a trasmissioni concitate, videate varie, comizi sintetici ma eloquenti, spesso compiacenti e compiaciuti. Tutto regolare, intendiamoci, tutto normale in un’epoca in cui la norma non è la maestra, anzi.

Ciò che appare qua e là evidente in tutto questo bailamme è quella che vorremmo chiamare dimenticanza, quando non è una vera e propria assenza: di proposte per di così più ampie, più consistenti, a più largo raggio e incisività, e chiamiamole pure riforme. Ciò che manca è dunque un respiro ampio politico che, per esempio, confermi (non più come negli annunci elettorali) un vero impegno a riformare la rappresentanza popolare introducendo sistemi elettorali ed elettivi in grado di sfoltire i doppioni, le inutilità, i tempi morti a favore dell’efficienza e della modernità culturale, esaltando nel contempo la funzione indispensabile di deputati e senatori in un quadro democratico e liberale da garantire sempre e comunque. Difficile, vero? Ma non impossibile e comunque necessario se non si vuole altro che il plauso populistico e, aggiungiamo, occasionale. Anche se non sembra del tutto (e lo diciamo fra parentesi) una normale occasione la vicenda del giudice Piercamillo Davigo che, come ha rilevato il nostro direttore, si iscrive in un’operazione nella quale qualche sospetto di un’ombra di populismo di destra tenti di allargarsi nel tempio della magistratura sulla quale il segno prevalente era quello del cattocomunismo.

Un discorso analogo vale anche per le mosse di un Matteo Salvini quotidianamente in movimento, internazionale, nazionale e mediterraneo. Un mare, come si sa, sempre agli onori delle cronache per via degli sbarchi di immigrati. Bene ogni controllo, benissimo ogni verifica, ma il problema è destinato a durare, presumibilmente dopo e anche oltre questo governo a due (per favore, diteci dove sta nascosto il Premier…) se non interverranno scelte e programmi ben oltre l’emergenza, accompagnandosi a decisioni e progetti, riforme e impegni con l’occhio (e non solo quello) sulle ragioni storiche, economiche, politiche, sociali, di sottosviluppo ecc. di questi esodi di massa da un’Africa che sembrava così lontana ed esostica ed è invece, come si dice, sotto casa. A chiedere la carità. Non simbolica.

Aggiornato il 16 luglio 2018 alle ore 11:00