Diciamocelo: dal 17% al 30% in quattro mesi non è una bazzecola. Per la Lega salviniana (non più bossiana o maroniana?) si tratta di un successo senza precedenti. Nella storia politica del Paese, come osserva qualcuno, saremmo addirittura oltre la cosiddetta fase di salita sul carro del vincitore e anche al di là della cosiddetta honey moon, la luna di miele che accompagna di solito l’avvento di un nuovo governo. E forse anche al di là o al di qua della kermesse popolatissima di una Pontida caldissima, peraltro seguita dal sondaggio del lunedì di Mentana. che segnala, al massimo, un incremento di mezzo punto circa per Salvini. Tant’è, si vorrebbe aggiungere, se non fosse che gli stessi sondaggisti sono stupiti della crescita comunque costante di un consenso ad un partito che non è più quello di prima, ad una Lega, cioè, marchiata a fuoco dal salvinismo al punto che sarebbe più consono parlare di sostegno a Salvini piuttosto che al movimento che fu di Bossi, con tanto di Nord prima di tutto al grido di Forza Padania.
Quanto a gridi e grida, Salvini non è da meno, sia pure nella loro versione mediatizzata ma pur sempre simbolica e comunque attualizzata dai twitter a ripetizione, facilitati non tanto o soltanto dalla poca consistenza pentastellata, almeno fino a questo “decreto dignità” situato pur sempre nei paraggi degli slogan elettorali, ma dall’impressionante vuoto oppositorio del Pd. Silenzio peraltro non solitario se è vero come è vero che alla voce di FI, peraltro spesso canterina, sembra capitato una sorta di ascesso alle corde vocali e politiche, forse in rispetto del riposo altoatesino di Berlusconi suggestionato, a sua volta, dall’antica massima che il Silenzio è d’oro. A parte il fatto che stare troppo zitti, per esempio, sugli strappi pressochè quotidiani dell’alleato leghista, impiomba ogni silenzio. Per non dire delle uscite pluriquotidiane di un Di Maio fra cui la profezia anti-televisione, privata e pubblica a favore di Internet e derivati, profezia seguita da una discesa in Borsa di Fininvest-Mediaset, con sullo sfondo la Rai su cui le facce di bronzo grilline avevano criminalizzato le lottizzazioni dei vecchi e corrotti partiti d’antan salvo impegnarsi in queste ore a mettere a fuoco e poi nel sacco qualche nomina in nome e per conto di quella che l’ipocrisia della sinistra chiamava ottimizzazione, che altro non era, ed è, che lottizzazione.
Matteo, intanto, è ritenuto una sorta di deus ex machina governativa, con sempre più frequenti viaggi all’estero e, restando nei confini patri, con una visita al Palio di Siena, così,tanto per gradire ma soprattutto, per dare buca (come si dice) al Vice Premier Di Maio col suo “decreto dignità” approvato dal Consiglio dei Ministri. Che dire? Una visita alla Siena diventata leghista? Un tour annunciato? Mossa strategica? Di fatto l’assenza di Salvini all’approvazione del primo provvedimento con l’impronta dimaiana dal sapore vagamente sovietico, se non catalogabile tout court sotto il segno della politica non sembra comunque del tutto casuale e si iscrive di certo nel Dna salviniano. Tanto ex bossiano quanto sovranista e populista, sempre e comunque muscolare, in movimento, teso, interventista, senza pause salvo i twitter e le concessioni ai media più amici che nemici, con la colonna sonora inconfondibile a base di immigrati. rifugiati, rom, negher, omosessuali, ognuno a casa propria, senza figli, scafisti corrotti.
Infine qualcuno comincia a cantare e il coro lo segue con l’inno ufficiale: Noi, leghisti, brava gente.
Aggiornato il 04 luglio 2018 alle ore 13:30