Politica, talk, giustizia e poi?

Ah già, la politica, dov’è finita? Nei talk-show, naturalmente! E i talk-show? Ma nella politica, ovviamente! E la giustizia? È la mamma dell’una e degli altri, non lo sapevate? Certo che lo sapevamo, ma ci voleva una conferma. Che è arrivata giusto l’altro giorno grazie, et pour cause, a un atto della magistratura contro la Lega di Matteo Salvini oggi e ieri di Umberto Bossi, e a seguire nelle dichiarazioni dei due “Mattei”, quello a capo del Partito Democratico e quell’altro della Lega Nord. I talk-show, dal canto loro, vanno avanti imperterriti come prima più di prima succhiando e sputando sul video il veleno dei due confliggenti dopo l’ennesimo colpo sotto la cintola del Pm e/o Tribunale di turno.

La politica, quella che ne deriva da tutto questo bailamme invadente e delegittimante, è sempre più nell’angolo, condizionata, pervasa, azionata, impersonata, giustificata, dettata dal potere giudiziario che da oltre vent’anni si muove in una guerra reciproca che ha ridotto la Repubblica a sovranità limitata. Una politica, peraltro, sottomessa ai voleri di un’opinione pubblica cui non sono estranee alcune voci del coro mediatico, montata come una panna montata e agitata prima e dopo dell’uso nella sua palestra più accogliente, esaltata ed esaltante dal medium che via via, da un ventennio, la nutre e si nutre attraverso il piatto principale, il talk-show. L’ultima rappresentazione che dà e darà da mangiare fieno abbondante nella mangiatoia televisiva ci è stata offerta, gratis beninteso, dalle invettive incrociate dei suddetti “Mattei” per i quali, diciamocelo, un bel tacer non fu mai scritto, anzi.

Non solo, ma non fu mai imposto dai conduttori di quei talk che, anche per paura dell’audience in calo, ne accendono ulteriormente le micce sotto, in un climax che all’inizio, tanti anni fa, poteva somigliare a una teatralità degna di questo nome, e adesso si pongono e impongono come un travalicamento delle ragioni del medium televisivo fin dentro quelle dei politici, quasi tutti, che si azzuffano, e su su nei cuori e nelle menti di uno spettatore che ha perso strada facendo il significato, il senso, la raison d’être della politica. Come dar loro torto dopo avere ascoltato non uno qualsiasi ma un ex premier e attuale segretario generale del Pd che dà né più né meno che del “bieco e falso moralista” all’altro segretario - cui, come si sa una sentenza ha congelato o sequestrato 48 milioni di una Lega, oggi sua e ieri di Bossi, che se non è zuppa è pan bagnato - aggiungendo che, sia pure nel silenzio di molti, che la Lega “è un partito che ha rubato i soldi, 48 milioni, al contribuente. Salvini è tutti i giorni nei talk-show, è dappertutto tranne che a Bruxelles, e nessuno che gli chieda dei soldi della Lega”. Replica immediata del contendente con un “Si vergogni!”, anticipatore di accuse di menefreghismo della Costituzione (più bella del mondo, o no?) e insinuando favoritismi dentro la magistratura per un “Pd al quale non succede mai nulla”. Con un bel brindisi. Meglio: funerale, l’ennesimo, alla politica ridotta per l’appunto ad uno scambio di insulti a quali, peraltro, la Lega è affezionata fin dai tempi del cappio sventolato in Parlamento agli albori di quella leggendaria inchiesta di un Di Pietro osannato dai bossiani, ma pure dai post comunisti delle monetine al “Raphael” sponsorizzate da Occhetto che per Matteo Renzi è l’equivalente di Bossi per Salvini. E che dire, appunto, di questo Matteo che aveva giurato di non volersi mai abbassare ai livelli dei politicanti giustizialisti e populisti in cerca di pubblicità nei talk, quando con una battuta come la sua ne sembra non soltanto l’imitatore ma addirittura il maestro?

Il talk-show, dunque e la sua “filosofia” che, per dirla coi maestri del linguaggio televisivo: “Non funziona più come discussione, confronto, dialettica, espressione di libertà utili a scambiarsi idee fra gli ospiti, ma soltanto al mostrarsi di questi ultimi agli amici e conoscenti, ai compagni di partito, agli elettori. I talk che mirano spesso a mettere in evidenza il lato peggiore degli ospiti politici” (Aldo Grasso). E, tutti, questi talk, nell’incapacità di approfondire ogni concetto e con la propensione alla lite, alla zuffa, all’insulto, all’ingiuria, a chi le spara più grosse per conquistare visibilità gli uni e audience i conduttori. Ed è così che la malafilosofia del talk è lei stessa una, anzi, la politica. Persino in un Renzi già premier, già apostolo della buona politica in nome della quale, diceva lui, aveva avuto tanto successo. Beati coloro per i quali il successo è il participio di un verbo. Prosit!

Aggiornato il 16 settembre 2017 alle ore 11:26