
Forse il buon Marco Minniti l’ha sfangata anche questa volta, al di là di qualche stop and go, sulla linea intrapresa della fermezza sugli sgomberi, con relativi scontri di piazza, e sul controllo dell’immigrazione, con relativi annessi e connessi di fondamentalismo-terrorismo di matrice islamica.
Diciamo forse anche e soprattutto perché il secondo problema è il più complesso, oltre che pericoloso. Si aggiungano le confusioni, più o meno volute, su un insieme di tematiche che vanno comunque tenute separate: il fondamentalismo-terrorismo non è tutto l’Islam (per fortuna!), né l’immigrazione è tutta islamica né tantomeno clandestina ma economica e politica. E così via. Ma lo sgombero degli abusivi, brutale fin che si vuole, resta comunque un obbiettivo da non lasciar cadere come invece è spesso avvenuto, con responsabilità che appartengono di certo al ministro degli Interni non meno che ai sindaci, in primis quello di Roma che brilla, anche in questa vicenda, per sprovvedutezza e incompetenza.
La complessità di questo micidiale ensemble è appesantita dallo sfondo in cui si agita un nome, e non bisogna avere timori reverenziali nel pronunciarlo, ovverosia lo scontro di civiltà. Lo sgombero ultimissimo c’entrava ben poco con questo nome, intendiamoci, e a proposito di civiltà occorrerebbero termini più soft, a cominciare dalle parole, da parte di una polizia, benché gravata di compiti non leggeri, ma non vi è dubbio che i derivati di violenza, di fondamentalismo e di terrorismo islamici fanno sempre capolino, volenti o nolenti tutti noi. Ecco perché ragionare anche su aspetti apparentemente di secondo piano, come un costume da bagno femminile, può servire a dare un’idea proprio di quella difficile complessità, che sfiora l’incredulità con punte di persino di ridicolo, ma tant’è.
Alla bisogna è di estrema utilità, oltre che di lettura agevole eppure profonda, il brillante libricino (allegato tempo fa a “Il Giornale) di Nicolò Costa dal titolo che è di per sé uno stimolo vivace: “Il burkini e lo scontro di civiltà”; sì, proprio così, la civiltà agganciata a quella sorta di costume da bagno obbligatorio per le donne islamiche costituito da pantaloni alla caviglia, tunica lungo i fianchi e un cappuccio che copre la testa, il collo e le spalle. Alla faccia! Lo prescrivono all’unanimità i soliti imam accampando motivi religiosi, che secondo molti studiosi non esistono, nella convinzione, ovviamente pro domo propria e a difesa dell’indiscusso privilegio del maschio islamico sulla femmina.
Ora che con la repressione del corpo femminile e del suo fascino si ottenga l’emancipazione femminile e l’eliminazione delle violenze maschili sulle donne, secondo il detto di quegli ineffabili e bacchettoni imam: non provocare e nessuno ti toccherà. Figuriamoci!
Si tratta, come acutamente fa rilevare Nicolò Costa - sociologo fra i nostri maggiori, docente all’Università di Tor Vergata e prima ancora alla Bicocca di Milano, autore di numerosi testi su turismo, terrorismo jihadista, ospitalità e marketing - di autentica repressione della donna islamica (che si sfoga in bikini, ma di nascosto, come in Algeria, e su Facebook) cui non sono estranei da noi non poche femministe e certi intellettuali fintamente progressisti, esperti soprattutto in una sorta di moralizzazione repressiva cui a volte si aggiungono, sempre da noi dove democrazia e libertà per uomo e donna sono garantite e indissolubili, gli immancabili giudici. Lo si vede anche sulle nostre spiagge, nelle nostre piscine, nei luoghi dove si fa il bagno, appunto, e il meno vestiti possibile, non foss’altro che per motivi igienici ma che non valgono per quelle povere donne infagottate da capo a piedi, a parte le mani. E ha ragione da vendere il bravissimo Costa quando afferma che sulle spiagge del Mediterraneo è in atto un vero e proprio scontro di civiltà: anche i riti sociali delle vacanze estive racchiudono valori vitali per l’Occidente: “Le donne dei Paesi musulmani che protestano in bikini vogliono cambiare la loro società e smascherare il proibizionismo islamista, mentre, per assurdo, i multiculturalisti e le femministe dei Paesi occidentali lo accettano in quanto tradizione da difendere. I costumi edonisti conserveranno la loro carica eversiva di libertà o soccomberanno sotto i colpi dell’oscurantismo jihadista?”.
Un interrogativo sul quale l’autore ci invita, molto giustamente e urgentemente, a riflettere.
Aggiornato il 28 agosto 2017 alle ore 19:01