Scontri di piazza e di civiltà: burkini vs bikini

martedì 29 agosto 2017


Forse il buon Marco Minniti l’ha sfangata anche questa volta, al di là di qualche stop and go, sulla linea intrapresa della fermezza sugli sgomberi, con relativi scontri di piazza, e sul controllo dell’immigrazione, con relativi annessi e connessi di fondamentalismo-terrorismo di matrice islamica.

Diciamo forse anche e soprattutto perché il secondo problema è il più complesso, oltre che pericoloso. Si aggiungano le confusioni, più o meno volute, su un insieme di tematiche che vanno comunque tenute separate: il fondamentalismo-terrorismo non è tutto l’Islam (per fortuna!), né l’immigrazione è tutta islamica né tantomeno clandestina ma economica e politica. E così via. Ma lo sgombero degli abusivi, brutale fin che si vuole, resta comunque un obbiettivo da non lasciar cadere come invece è spesso avvenuto, con responsabilità che appartengono di certo al ministro degli Interni non meno che ai sindaci, in primis quello di Roma che brilla, anche in questa vicenda, per sprovvedutezza e incompetenza.

La complessità di questo micidiale ensemble è appesantita dallo sfondo in cui si agita un nome, e non bisogna avere timori reverenziali nel pronunciarlo, ovverosia lo scontro di civiltà. Lo sgombero ultimissimo c’entrava ben poco con questo nome, intendiamoci, e a proposito di civiltà occorrerebbero termini più soft, a cominciare dalle parole, da parte di una polizia, benché gravata di compiti non leggeri, ma non vi è dubbio che i derivati di violenza, di fondamentalismo e di terrorismo islamici fanno sempre capolino, volenti o nolenti tutti noi. Ecco perché ragionare anche su aspetti apparentemente di secondo piano, come un costume da bagno femminile, può servire a dare un’idea proprio di quella difficile complessità, che sfiora l’incredulità con punte di persino di ridicolo, ma tant’è.

Alla bisogna è di estrema utilità, oltre che di lettura agevole eppure profonda, il brillante libricino (allegato tempo fa a “Il Giornale) di Nicolò Costa dal titolo che è di per sé uno stimolo vivace: “Il burkini e lo scontro di civiltà”; sì, proprio così, la civiltà agganciata a quella sorta di costume da bagno obbligatorio per le donne islamiche costituito da pantaloni alla caviglia, tunica lungo i fianchi e un cappuccio che copre la testa, il collo e le spalle. Alla faccia! Lo prescrivono all’unanimità i soliti imam accampando motivi religiosi, che secondo molti studiosi non esistono, nella convinzione, ovviamente pro domo propria e a difesa dell’indiscusso privilegio del maschio islamico sulla femmina.

Ora che con la repressione del corpo femminile e del suo fascino si ottenga l’emancipazione femminile e l’eliminazione delle violenze maschili sulle donne, secondo il detto di quegli ineffabili e bacchettoni imam: non provocare e nessuno ti toccherà. Figuriamoci!

Si tratta, come acutamente fa rilevare Nicolò Costa - sociologo fra i nostri maggiori, docente all’Università di Tor Vergata e prima ancora alla Bicocca di Milano, autore di numerosi testi su turismo, terrorismo jihadista, ospitalità e marketing - di autentica repressione della donna islamica (che si sfoga in bikini, ma di nascosto, come in Algeria, e su Facebook) cui non sono estranei da noi non poche femministe e certi intellettuali fintamente progressisti, esperti soprattutto in una sorta di moralizzazione repressiva cui a volte si aggiungono, sempre da noi dove democrazia e libertà per uomo e donna sono garantite e indissolubili, gli immancabili giudici. Lo si vede anche sulle nostre spiagge, nelle nostre piscine, nei luoghi dove si fa il bagno, appunto, e il meno vestiti possibile, non foss’altro che per motivi igienici ma che non valgono per quelle povere donne infagottate da capo a piedi, a parte le mani. E ha ragione da vendere il bravissimo Costa quando afferma che sulle spiagge del Mediterraneo è in atto un vero e proprio scontro di civiltà: anche i riti sociali delle vacanze estive racchiudono valori vitali per l’Occidente: “Le donne dei Paesi musulmani che protestano in bikini vogliono cambiare la loro società e smascherare il proibizionismo islamista, mentre, per assurdo, i multiculturalisti e le femministe dei Paesi occidentali lo accettano in quanto tradizione da difendere. I costumi edonisti conserveranno la loro carica eversiva di libertà o soccomberanno sotto i colpi dell’oscurantismo jihadista?”.

Un interrogativo sul quale l’autore ci invita, molto giustamente e urgentemente, a riflettere.


di Paolo Pillitteri