
Prendiamo quest’ultimo caso, che ultimo non sarà di certo. Il caso delle intercettazioni dilagate sui media e date in pasto ad un’opinione pubblica assetata di sangue (della casta, dei ricchi, degli altri) riflette come uno specchio rotto le fratture del Paese ma, nello stesso tempo, restituisce grazie alle parole un panorama di contrasti e di contraddizioni sullo sfondo di un’intera società che scambia il buon senso per il senso comune, tratta il significato delle cose a seconda delle convenienze e scambia lucciole per lanterne, accogliendo il lato gustoso delle parole lasciandone i succhi amari all’altrui consumo.
Le parole sono dunque pietre tirate all’avversario politico di turno (Lupi) e sparse ovunque nei talk-show e nei telegiornali catapultano il malcapitato nelle sabbie mobili dell’indifendibilità, negandogli proprio quella risorsa umana che è indispensabile, ovvero l’autostima consapevole delle proprie sacrosante guarentigie difensive in grado di rimontare il limaccioso avanzare di quelle parole. Le dimissioni come beau geste, dicono e scrivono: le dimissioni come fuoriuscita per opportunità politica da un inghippo rischioso per un esecutivo e il suo Premier, le dimissioni come liberazione da un incubo personale ma, soprattutto, da un ingombro da rimuovere sulla strada delle magnifiche sorti e progressive del governo. Parole, parole, parole, canta l’immensa Mina.
E di parole si nutre la narrazione politica del sé medesimo Renzi, che pure, quando vuole, ci sa fare nella politica, vedi Nazareno, Jobs act, riforme costituzionali, ecc. Ma quando deve sciogliere il nodo dei nodi, il capestro che impicca di volta in volta vari soggetti, ecco che le sue parole aumentano di tono mano a mano che diminuiscono di efficacia. La giustizia, non i giudici o comunque non solo loro, è l’oggetto della speciale storytelling renziana sotto il profilo dell’annuncite, la malattia cronica del ex sindaco fiorentino che è uno dei massimi esperti nel cosiddetto passo del cavallo, la mossa che consiste nello scavalcare un problema ponendone a sorpresa una soluzione capace di stupire, ma incapace di affrontare strutturalmente il problema, la giustizia e i patologici conflitti fra politica e magistrati, consolandosi dell’effetto mediatico dell’annuncio.
Il caso della “corruzione che infesta il Paese”, frase secolare che ci accompagna nel sottofondo della narrazione italica, evidenzia la suddetta “mossa del cavallo” sia con la nomina di un certamente capace operatore del settore come Cantone sia, come contorno, dell’aumento a iosa delle pene, delle severità, della prescrizione, delle condanne, fino a vertici inimmaginabili, trattandosi, si dice, della corruzione come prima emergenza.
Il gioco delle parole come pietre continua. Aumentano pure le pietre tiratesi reciprocamente contro fra Premier e Anm, segno di una conflittualità non placabile facilmente. L’emergenza è un richiamo forte e inesauribile di suggestioni. Ma se la corruzione è il nostro male endemico, secolare, che c’entra l’emergenzialità con leggi non molto diverse, nei risultati, dalle grida manzoniane? Il punto vero è stato sottolineato più volte dall’ottimo Pm veneziano Nordio che, citando Tacito col suo “plurimae leges,corruptissima re publica”, ha indicato il limite vistoso, la sostanziale inanità se non la collaterale produttività di nuova corruzione derivante dal moltiplicarsi di leggi, norme, codici, aggravi di pena, ecc.
La giustizia come eterno campo di Marte di una guerriglia fra istituzioni è dunque il banco di prova di questo governo come di tanti altri. Un Lupi che si dimette non rafforza Renzi, è persino ovvio, e dunque il Premier deve stare molto cauto nel dire e fare oggi ciò che ieri, stando all’opposizione nelle primarie, gli garantiva il plauso populista (vedi caso Cancellieri). Le cose cambiano e governare è complicato, persino per i fuoriclasse. Sono spesso portati a risolvere i casi con l’irruente decisionismo palpitante di sacrifici per gli altri e di plausi per sé, fermandosi alla superficie del problema. La corruzione è quel male che cresce a dismisura man mano che aumenta la burocrazia, i passaggi delle pratiche, le infinite porte da varcare, le migliaia di permessi da ottenere. È il sistema Italia che genera e fa crescere questo mostro, mai sazio, che divora risorse.
Invece di moltiplicare leggi occorre semplificare le norme, ridurre i passaggi e le porte, invece di promettere severissime sanzioni ad libitum, che già ci sono, si riduca l’autoreferenzialità di quel mostro che nuota sempre più allegramente proprio dentro la selva oscura delle plurimae leges, corruptissima re publica.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10