“Il terribile è già avvenuto”

Facciamo sempre fatica a distinguere le responsabilità dei diversi soggetti dispiegati nelle battaglie genericamente mediatiche, tanto più quando vi si aggiungono i soggetti giudiziari, per non dire politici. La bella confusione, si fa per dire, è quotidianamente esplicitata davanti a noi in forme bulimiche tendenti alla crescita. Ed è una faccenda tremendamente complessa. La riflessione sulle “colpe” dei media è viziata dai principi sulla libertà di stampa che, pur sacrosanti, si attuano secondo gradazioni colpevolistiche a seconda delle occasioni, aumentando la confusione e le difficoltà.

Il caso di Silvio Berlusconi, assolto ieri dalla Corte di Cassazione, è clamoroso non per l’assoluzione, ancorché da molti inaspettata, ma per l’offerta della sua immagine pubblica-privata nel corso di anni del “bunga bunga” arcoriano raccolto dalle intercettazioni immediatamente riversate sui mass media. Il tritatutto mediatico ha portato alla crisi non solo dell’allora Premier, ma di un’alleanza e del suo stesso partito, sullo sfondo dell’incalzante pressione delle piazze infine incanalate nel movimento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, il cui successo ha sbriciolato il bipolarismo. I media hanno dunque causato la crisi del berlusconismo? In prima battuta la risposta è affermativa. Solo che, chiamati in causa, gli operatori hanno non solo invocato la libertà di stampa ma la legittimità della messa a disposizione del pubblico delle pruriginose e voyeuristiche violazioni della privacy di un Premier, autorizzate dalla magistratura. È un circolo vizioso dal quale l’unica uscita era, e sarebbe, il divieto di pubblicare qualsiasi intercettazione prima dell’avvio del relativo processo e/o rinvio a giudizio. Semplice, vero? Bastava approvare una legge che non è stata fatta, e la politica ha le sue colpe.

Cosicché, vale per Berlusconi, finalmente assolto, la famosa frase di Martin Heidegger rivolta alla sua allieva e amante Hannah Arendt, “Il terribile è già avvenuto”, con la quale il notissimo filosofo tedesco liquidava il suo recente passato di nazista convinto. Il terribile è avvenuto vale, come metafora, per un leader come il Cavaliere che ha contraddistinto un ventennio e che, soprattutto, non ha alcuna ombra lontanamente somigliante a quello di un Heidegger, transitato dal criminale nazismo al neobattesimante comunismo, come tanti altri voltagabbana. Il terribile dei mass media nulla ha a che fare col nazismo, si capisce, ma è indubbia la loro forza distruttiva, ovvero “character assassination”. La politica è troppo spesso trascinata alla sbarra attribuendole ogni specie di crimine. Ma anche gli operatori dei mass media non scherzano, pur uscendone di lato. Il che non cambia molto, ma aggiunge nuove complessità e ulteriori confusioni.

La tragica vicenda di famosi sportivi e troupe tv francesi impegnati nel reality “Dropped” (che ricorda vagamente “L’Isola dei Famosi”), morti a causa dello scontro di due elicotteri in volo a bassa quota, chiama in causa non solo il caso, non solo l’imperizia dei poveri piloti ma anche, sia pure mormorata a bassa voce, l’intrinseca disponibilità (starei per dire l’obbligo) del reality di riprendere da vicino i soggetti, elicotteri compresi. È un sospetto, intendiamoci, che pure s’inquadra nella complessità ardua del problema che ci sta di fronte, imponendoci ragionamenti meno riduttivi, più profondi.

Un caso non meno famoso, grazie alla fotografia del grandissimo Robert Capa, (morto in Indocina su una mina) riguarda “The falling soldier”, ovvero il soldato miliziano della guerra di Spagna colpito a morte la cui immagine, in virtù dello scatto di Capa, è finita su “Life”, su tutti i rotocalchi del mondo, nei film e persino sulle figurine “Liebig”. Un’istantanea che ha fatto storia. Non servono trucchi per scattare foto in Spagna, dicevano allora: “La verità è l’immagine migliore, la miglior propaganda”.

Purtroppo la verità è diversa, anche se emerge dopo decenni. Il vero, cioè, non sta in uno scatto fotografico ma come quello scatto si è prodotto. La fotografia del soldato miliziano era stata scattata durante una pausa della guerra civile sul Cerro Muriano di fronte a Córdoba. Collaborava con Capa la sua compagna, la famosa fotografa Gerda Taro. Entrambi erano convinti che i franchisti osservassero, com’era sempre accaduto, la pausa della siesta, e misero in scena una sorta di reality fotografico, la ricostruzione di un attacco che sembrasse ancora più vero proprio perché preparato dalla regia con la sua “mise en scéne” nei tratti più esaltanti. Fecero dunque scendere di corsa un soldato lungo il Cerro, precedendolo per scattare rulli di fotografie. Purtroppo e proprio in quella fatale siesta, un colpo di fucile partì dalla parte avversa e colpì “The falling soldier”. Capa ottenne la sua foto, la foto del secolo, tramandataci dalla vulgata come un’istantanea. E come tale fu per decenni considerata. Perché? Perché quasi sempre l’immagine di una foto “costruita”, preparata con cura, è indistinguibile da un’altra scattata di colpo, anzi, spesso sembra più autentica di quella vera. L’immagine come inganno, si dice. Donde le leggende. Ma anche i danni collaterali: alla verità. E alle persone.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:28