
La tv al servizio del crimine. I video funzionali all’assassinio d’innocenti. L’omicidio di massa come spot tv per spaventarci. Soprattutto, per attirare e irreggimentare nuovi adepti, ingaggiare fan mercenari, spedire martiri killer in giro per il mondo. Si dice, a tal proposito, che molti degli sparatori a ebrei parigini o danesi e a vignettisti anti-Maometto, siano europei. Vero, ma sempre arabi e comunque musulmani. Il problema, tuttavia, resta la comunicazione da parte dell’Isis. Non scopriamo l’acqua calda nel sottolineare l’assoluta modernità dei comunicatori del Califfato nella realizzazione e nella diffusione di una campagna promozionale mediatica, soprattutto tv e web.
Modernità e professionalità che da una qualsiasi sommaria analisi dei loro video di decapitazione o condanna al rogo di prigionieri infedeli emergono e s’impongono in una sorta di dare/avere fra fanatismo religioso omicida e prodotto finale televisivo mutuato dai modelli occidentali, laddove fanatismo integralista religioso collide con qualsiasi modello esistenziale dell’occidente. Ritenuto, peraltro, impuro, infedele e da sottomettere, meglio, da decapitare. L’apparente contraddizione è la stessa a proposito del sociologismo con cui si commentano gli assassini di Charlie Hebdo come nati dal nostro ventre europeo e dunque nostri fratellastri o, comunque, vicini di casa.
Il punto vero è che sono falliti alcuni modelli d’integrazione i quali, semmai, hanno ulteriormente ghettizzato l’auto ghettizzabile religioso nell’illusione del suo recupero “comunitario legale” quando, invece, il sistema di leggi e norme della nostra comunità diventano gli strumenti per la sua sottomissione tramite il terrore e il crimine. La tv è insomma lo strumento principe di una politica di aggressione all’Occidente. E l’ultimo video dell’esecuzione dei cristiani copti egiziani in riva al mare è un frammento sommamente istruttivo della storytelling dell’Isis, nel senso che aggiunge una fortissima dimensione simbolica al già di per sé esplicito film splatter. Ricco di significati, di rimandi, di simboli: di messaggi.
Nulla di più emblematico per un certo tipo di fruitore musulmano, in Europa ma soprattutto nei paesi arabi lambiti o ambiti dal Califfato. Nulla di più esplosivo nelle menti più o meno fanatizzate, di questo micidiale spot che abbina il rituale dell’esecuzione di massa sia con la simbologia religiosa sia con l’immanenza di una minaccia vicina ovvero in riva al mar Mediterraneo, il Mare nostrum, il nostro cortile di casa. Nulla che incuta più paura a noi, prossimi obbiettivi. Perciò la stessa Isis manda a dire che Roma è vicina, sempre più vicina giacché la Libia è, in un certo senso, una casa già abitata dagli italiani e comunque luogo che fronteggia il condominio Roma, il suo Papa, il suo Governo, il suo popolo. Professionisti del marketing e della regia hanno confezionato un messaggio che è assolutamente politico nella sua dichiarata missione distruttiva, ben diverso dalle liturgie d’antan tipo dichiarazione di guerra consegnata agli ambasciatori. No, la potenza della comunicazione travalica le modalità consuete, le sussuma, le ignora, è globale e al tempo stesso, locale, è rivolto al mondo e, contestualmente, al vicino di casa scelto come obbiettivo primario all’interno di una strategia jihadista che avanza inesorabilmente dal nord a sud con una manovra a tenaglia fino ad ora vincente. Cosicché, un’oscura minaccia simbolizzata da bandiere nere e da uomini killer nero vestiti in divisa da mafiosi, tale rimaneva nell’immaginario nostrano: oscura, certamente, ma sempre lontana, laggiù in aride pianure siriane e irachene, lassù in colline brulle abitate da coraggiosi curdi, in sconosciute contrade polverose con le ultime (sopravvissute allo sterminio) comunità cristiane.
Un mondo misterioso, sconosciuto come un pianeta distante anni luce. Questo allora. Questo prima della Libia. Adesso quel pianeta si è materializzato minacciosamente davanti a noi, occidentali, italiani e cristiani. Come quella ventina di egiziani ammazzati barbaramente in riva al mare. Sgozzati perché cristiani in un mare rosso del loro sangue. Mare non più nostrum, ma loro. Almeno nel video. Almeno così ci mandano a dire dalla cabina di regia del mattatoio Isis. Per ora.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14