Nazareno: un patto? No, una Politica

Forza Italia è, come si dice, nel caos: il Nazareno è morto, il patto è defunto, l’accordo non c’è più. Risse e botte, insulti e minacce, basta, con Matteo Renzi non se ne può più! Ma, diciamocelo, tutto questo “casino” per andare dove? La domanda, un po’ volgarotta ma ci capiamo, è d’uopo in questo post-Quirinale che ha messo in difficoltà il centrodestra cosiddetto di lotta e di governo e che mette in acuta fibrillazione il quadro politico, al punto da far fare capolino l’eterna questione, la solita arma di ricatto: allora andiamo alle urne, alle elezioni anticipate. Si fa presto a dire: al voto, al voto! E si fa (pure) prestissimo ad imputare univocamente le responsabilità dello stato delle cose. Intanto, il no al Nazareno scaturito dalle lacerazioni interne a FI è più apparenza che sostanza, anche se l’appariscenza degli scontri fa aggio sulla effettualità degli stessi.

Spieghiamoci: quando Giovanni Toti annuncia la morte del Nazareno, l’inganno liberatorio della dichiarazione riempie il vuoto della sconfitta, ma, come dice la parola stessa: inganna. Tant’è vero che Toti aggiunge a proposito della morte del Nazareno parole d’altro significato come congelamento, che è, semmai, morte apparente. E di apparenza più che di sostanza, appunto, si tratta in questa baruffa dentro FI che spiega specialmente il voler nascondere sotto il tappeto la polvere degli errori tattico-strategici compiuti invece che affrontarli e superarli discutendone apertamente.

La morte del Nazareno è più facile dirla che commetterla per il semplice motivo che attiene alla dimensione del suicidio piuttosto che a quella della dialettica, nel senso che quello dei due contraenti che la promuove, cioè FI, ne stimola contestualmente il contraccolpo fatale rivolto solo a se stesso, e non all’altro. Non si tratta di colpi e contraccolpi considerati in sé, ma di reazioni e controreazioni che la politica non sopporta, a meno che non si ritorni alla sua parodia, cioè al teatrino della stessa. Ma non è così, perché l’avvento di Renzi ha comportato, volenti o nolenti, il ritorno della politica e all’addio del suo teatrino, un ritorno cui ha contribuito in modo determinante Silvio Berlusconi, accettando il Patto del Nazareno proposto da Renzi, che ha annientato in un colpo solo il ventennio di odio antiberlusconiano e il retaggio del comunismo (che mangia i bambini, come si diceva...). Il Cavaliere ha condiviso il percorso riformatore nella sua più autentica essenza che è quella di una politica consapevole e alta, che ritorna dopo anni di disastri antipolitici e lungo una strada di cui il Cavaliere ha compreso la portata storica, perché, se percorsa, lo iscriverà nel libro d’oro dei costituenti.

Il Patto del Nazareno non è un accordo, non è un discorso a due, non è soltanto un patto per le riforme, non è una politica, ma la Politica. E non si può più dire che la fine del Nazareno coinciderebbe col simul stabunt vel simul cadent dei due contraenti. Ciò valeva prima di Mattarella, quando il Cavaliere poteva non votare la morte del Senato posticipandola al voto in comune sul Quirinale, ma la frittata era fatta e Renzi ha spadroneggiato. E che lo abbia fatto è addirittura ovvio, ma in questo è stato aiutato dagli errori sia di FI che (soprattutto) di Alfano, che poteva (anzi, doveva) concordare innanzitutto col suo alleato di Governo, nientepopodimeno che Renzi, il candidato al Colle, ben sapendo di accettarlo a scatola chiusa, tanto più se espresso dalla maggioranza assoluta del Partito Democratico.

Accorgersi in limine mortis dell’errore tanto elementare quanto fatale, e correre ai ripari, non pensiamo basterà a rasserenare più di tanto il clima della maggioranza, nel cui precario e contradditorio equilibrio si è rotto qualcosa di difficilmente riparabile, soprattutto rispetto al carattere “vendicativo” del Premier. Al quale la rottura del Nazareno non provocherà più di tanti problemi e lacerazioni, e mai quanto quelli in FI e nel Nuovo Centrodestra, perché, per dirla con gli americani, Renzi è un win-win, ovverosia colui il quale vince comunque; ha in mano l’arma risolutiva, di offesa e di difesa, cioè quella delle elezioni anticipate. Gli altri no. Gli altri, né Forza Italia né figuriamoci Ncd, non possono minacciarle, la loro è una pistola scarica.

Da ciò il sospetto avanzato da qualche parte che dentro la mente di Renzi si muovi un qualcosa, un’ipotesi, un’idea, un cattivo pensiero, il diavoletto delle elezioni anticipate. Certo, a pensare male si fa peccato, con quel che segue. Certo, il voto anticipato, in un quadro politico economico delicatissimo, è uno strappo, con qualche incognita anche per il Premier. Ma sempre molto meno preoccupante che per gli Alfano e i Toti e Fitto e Meloni e persino Salvini. Il cui sport preferito è prendersi a ditate negli occhi, rissosi e divisi, se non sfasciati, senza un progetto, senza una politica seria da proporre al Paese. Perciò... tutto sto casino per andare dove?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09