Perché Porro batte   Innocenti e Palombelli

La tv è lo specchio della vita. E della politica. E viceversa. Ma la tv italiana è un discorso a parte. C’è qualcosa d’inquietante e, al tempo stesso, di déjà vu nello svolgersi quotidiano di un enorme palinsesto - da noi le tv in funzione hanno superato il mezzo migliaio - cui l’avvento del digitale ha prodotto la moltiplicazione dell’offerta con l’effetto collaterale del rinsecchimento delle tv locali. Le quali, peraltro, avevano segnato gli albori televisivi generalisti negli anni ‘70 e ’80, e agli inizi dei ‘90 introdussero, almeno nel “Nord leghista e incazzato”, una narrazione urlata, sincopata e interlocutrice della piazza, fino a contaminare, di nuovo, i network nazionali, a cominciare dalla “Samarcanda” di Michele Santoro.

Poi, si sa, è avvenuto una sorta di riflusso per le tv locali, accese e partecipate oggi soprattutto per il calcio e suoi contorni commentati spesso felicemente. Intanto, la parabola diciamo così “santoriana” è cresciuta, esondando dalla Rai a La7 e non solo, giacché, tra alti e bassi, il contagio narrativo è proceduto, accentuandosi sia nell’epoca “intercettativa” (o rubyconda) berlusconiana che, soprattutto, nel capitolo elettorale del grillismo sbraitante del 2013. In entrambi i casi, così emblematici del missaggio di politica-giustizia-comunicazione, la politica italiana ha avuto come propulsore il medium per eccellenza il quale ha riempito, con i vari protagonisti, la percezione della Civitas. Un reciproco “do ut des”, diciamo. Con varianti importanti, come “Virus” di Nicola Porro su Rai 2, come vedremo, mentre, in altri contesti della giornata tv, avanza Barbara Palombelli e pure Luca Telese, entrambi su Mediaset, con “Ballarò” che si barcamena.

Certo, l’avvento di Matteo Renzi e, ora, di Matteo Salvini, merita un approccio nuovo, anche se c’è un Renzi all’arrembaggio - come lo è oggi Salvini - e un Renzi nel tran tran sabbioso del Governo quotidiano. Il ché fa la differenza. Il punto è che la tv marcata da Santoro è confluita soprattutto ne La7 con l’“Annozero” di Giulia Innocenzi, meta settimanale contornata dalla quotidianità sia del dominus dell’informazione, Enrico Mentana, che della Lilli Gruber. Mentana, peraltro, s’infila tempisticamente con “Bersaglio Mobile” ogni volta che la politica ha una svolta. È l’informazione, bellezza. Solo che, spesso, troppo spesso, è un’informazione schierata, non neutra o neutrale, sicuramente di sinistra, non necessariamente sdraiata sul Premier. Tutto legittimo, si capisce.

Ma allora non perdiamo più tempo con la leggenda dei “fatti separati dalle opinioni”, avviata, se ben ricordiamo, dal Lamberto Sechi di “Panorama” che era tutto (e molto bello, pure) fuorché un magazine neutrale, anzi. Il fatto è che la tv ha un appuntamento ineludibile chiamato “auditel” e i suoi indicatori sono accettati, da utenti e investitori, e fanno testo nei raffronti. Cosicché è facile notare che “Annozero”, nonostante l’omelia dell’indignatissimo Santoro, viaggia sotto il 5 per cento, mentre “Virus” va oltre, battendo sistematicamente l’allieva di Michele. Si confrontano due modelli, due interpretazioni dei fatti, due letture degli avvenimenti, ideologica quella della Innocenti, politica quella di Porro. Che, però, funziona perché il suo approccio alla “cosa” non si chiude in una corazza di certezze, non pregiudica cioè il racconto, semmai lo arricchisce con l’intervento stesso del conduttore che stimola i politici, consentendo una certa fluidità dello scontro, con l’intermezzo di uno scafato Vittorio Sgarbi capace d’illuminare e ritagliare, con la vis polemica innata, lo spazio artistico.

Si può dunque rilevare che il modello ereditato dalla Innocenzi, per ora, non è in grado di convogliare nuovi adepti, forse per la legge secondo cui, come in politica c’è sempre un più puro che ti epura, così in una tv “santoriana” non puoi discostarti dall’archetipo, pena la decrescita dell’audience, sullo sfondo di un grillismo in crisi nelle sue estremizzazioni che lo hanno sterilizzato, mentre sopravanzava quel Renzi e ora un certo Salvini.

C’è però da chiedersi perché quasi tutti i talk viaggino al di sotto delle attese. E perché il “Forum” della Palombelli cresca a vista d’occhio, si lasci vedere, ottenga consensi al di fuori di orari e di contesti per dir così politici. Perché, probabilmente, un’autentica professionista dell’informazione come lei, ha capito che al di là della politica del “day-by-day”, al di là del Parlamento in subbuglio, del dibattito stantio sulle riforme, dello scontro istituzionale, della rissa come cifra della narrazione italica, c’è ben altro, c’è tutt’atro: la vita, quella vera, la nostra, di tutti i giorni. Che conta, eccome.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19