
Nella sua trasferta dalla natìa Piacenza all’allagata Milano, il simpatico Pier Luigi Bersani ha rimesso insieme una specie di corrente del Partito Democratico in funzione, più o meno, anti-renziana, buttando lì, con quel suo eloquio emilian-piacentino, un’offa, un teorema di causa ed effetto, come una sorta di amo per i supposti boccaloni: la crescita delle azioni di Mediaset in una Borsa che perde è indubbiamente frutto del ristabilimento del “Patto del Nazareno”. Un patto, nell’accezione bersaniana, ispirato più dall’interesse “particulare” se non da sottoscritti codicilli segreti di piccolo-grande cabotaggio, che dal respiro istituzionale, riformistico, innovatore, modernizzante, di crescita.
Mediaset vola in Borsa, grazie Matteo Renzi, questo è il succo del sopraffino ragionamento del capo dei “dem”. Se non è un’ossessione questa di Mediaset che naviga felice grazie al vento del Nazareno, che altro è? E se anche fosse vero che quel titolo è cresciuto, che male c’è? E che connessione può esistere in un giorno solo di Borsa quando anche i bambini di Piacenza sanno che l’andamento di un’azione va proiettato nel tempo. E che nel tempo, ma guarda un po’, Mediaset ha perso e non guadagnato?
Dovrebbero fare un monumento alle loro ossessioni (politiche, ideologiche, culturali, mediatiche) gli eredi del Partito Comunista Italiano. Ci si sono campati per anni, decenni, attraversando repubbliche e muri e rimanendo sempre in piedi se non addirittura al potere. Usiamo una metafora, come si dice. Intendendo un monumento del tutto speciale, ai cui piedi scrivere: “Qui giacciono le illusioni (dei postcomunisti)”. Intendiamoci, un’operazione del genere è in atto, fra “stop and go”, da parte di Renzi, che non ha mai avuto di queste ossessioni, figuriamoci. Ma la strada è lunga... Un esempio: Silvio Berlusconi e le sue aziende, anzi, come direbbero solitamente i compagni: “L’uomo di Arcore e il suo impero”.
Il tycoon e Mediaset hanno turbato i sonni della sinistra proprio come un’ossessione, più o meno magnifica. “La Magnifica ossessione” è il titolo di un famoso polpettone di classe dei Cinquanta del sublime Douglas Sirk a proposito di un giovanotto che si sente colpevole della cecità di una bella ragazza, studia da oculista e, infine, le restituisce la vista e si sposano. Non ci vedete qualcosa di attuale, un qualcosa che gli somiglia vagamente nel ricovero all’ospedale “San Raffale” del Cavaliere per via dell’aggravamento da uveite causata dal tiro insano della statuetta? Noi sì. Ma tant’è.
Il problema, come si dice, è politico e l’ossessione per molti del Partito Democratico - almeno fino all’arrivo di Matteo Renzi - era ed è quella di un Berlusconi che occupa il campo della politica italiana soprattutto in virtù del potente impero mediatico alle spalle, donde la prima storica vittoria (1994) della discesa in campo (“l’Italia è il Paese che amo”, ecc.), poi il successo del “Contratto con gli italiani”, poi la trovata del predellino e così via. Inframmezzate da sconfitte e da furibondi attacchi contro il conflitto d’interessi, con la replica dell’editto bulgaro e il rinfocolarsi di assalti mediatico giudiziari.
Per anni, per venti anni, l’ideologia di fondo della sinistra, con qualche eccezione, anche di Massimo D’Alema, si è connotata di un antiberlusconismo ossessivo secernendo un acre sapore di odio e di vendetta che ha favorito, a volte, la vittoria elettorale della sinistra, ma non la sua maturazione, la sua crescita diffusa nel corpo sociale con un insediamento stabile, degno di una forza socialdemocratica europea. È la “magnifica ossessione” per Mediaset, prima Fininvest, che ha costituito la stella polare del Pds, Ds, Pd impedendogli di capire fino in fondo quella che hanno sempre definito l’anomalia Berlusconi e che era, invece, una risposta politica capace di intercettare domande e richieste diffusissime in un Paese dove, nel 1994, erano stati annichiliti ben cinque partiti che avevano fatto crescere il Paese nella democrazia e nel progresso economico.
Quel vuoto immane, quel cratere atomico aperto con intorno i pochi zombie sopravvissuti, fu riempito dal Cavaliere. Non erano le televisioni al servizio del Cavaliere che colmarono quel buco nero e riempirono le urne di voti, ma il messaggio politico, la proposta e il progetto di quella discesa in campo “dalla trincea del lavoro” e in nome dell’antipolitica o antipartitocrazia. Beninteso, le tivù sono servite, eccome, anche perché l’uomo di Arcore ne è stato il creatore e le sa usare. Ma senza una progettualità che fa sperare e pure sognare, senza cioè un’offerta politica comprensibile, condivisibile e possibile, cioè maggioritaria, non si vince anche se ti giovi di tre reti televisive e d’altri “fringe benefit”.
Ritornando a Bersani, e sperando che la sua su Mediaset si riduca a una “boutade” e non a un progetto, peraltro destinato al flop, sorge il sospetto che rifugiarsi in battute del genere nasconda un vuoto d’iniziativa, sostituito da una certa invidia per il duo Renzi-Berlusconi, la strana coppia che agita sonni e risvegli di taluni. Il fatto è che sia Renzi che Berlusconi stanno elaborando una strategia istituzionale, hanno cioè messo in campo un’iniziativa intorno alla quale si muove tutto il quadrante parlamentare costrettovi da un percorso che, tra l’altro, è l’unico possibile nell’attuale congiuntura. Anche e soprattutto economica.
A dirla papale papale - a parte Matteo Salvini che va per conto suo come un caterpillar e Beppe Grillo finito nel congelatore - gli unici due che stanno facendo politica sono Renzi e Berlusconi. Il che fa venire l’orticaria a molti. E a Bersani l’ossessione di Mediaset.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20