Politica: e ultimo   arrivò Della Valle…

Sembra facile... Lo diceva il jingle di un antico Carosello, che, in genere, raccontava di una verità derivata da un entracte pubblicitario. Sembra facile la politica, per dire. E ancora più facile catturare il consenso e governare. Ecco, governare sembra ancora più facile. Cosicché, parafrasando un celebre racconto di Italo Calvino: ultimo arrivò Diego Della Valle. Che, tanto per smontarlo, un perfido e tagliente Filippo Facci gli ha subito dato sulla voce scambiandolo per un sogno infantile fiabesco connotato da bambinismo irrimediabile.

La parabola di Della Valle è probabilmente motivata dal carattere impulsivo e sbrigativo che qualsiasi industriale di successo applica alla cosa pubblica scambiandola per la politica e tramutando, quest’ultima, in un’imitazione della propria azienda di successo il quale, per la propositiva equazione dell’uguaglianza, dovrebbe comunque arridere al nuovo imprenditore della “polis”. Non funziona così, anzi. Non può funzionare. E tuttavia, prima di Della Valle è stato il turno di Corrado Passera e lo è ancora se è vero come è vero che lo stesso si sposta da un talk-show all’altro illustrando e illustrandosi le (sue) magnifiche doti progressive. Prima ancora ci provò Luca Cordero di Montezemolo inventando un’approssimativa think tank che qualcosa comunque ha promosso, ma non lui.

Dietro di loro ce ne sono altri, ci scommettiamo, come Ernesto Preatoni il realizzatore di Sharm el Sheik che era un giovanissimo socialista negli anni ‘60 e poi imboccò la strada del successo imprenditoriale cadendo, pure lui, e alla sua età, nell’illusione di ritornare alla politica, sia pure non socialista, magari con l’obiettivo di uscire dall’euro. Chissà quanti altri, magari un redivivo Gianpiero Samorì, considerino la politica quell’oscuro oggetto del desiderio che, pure, ha arriso a uno come Silvio Berlusconi. Ecco, Berlusconi.

Tutto inizia e finisce con lui. Ma il Cavaliere ha compiuto un gesto, starei per dire una parabola, che iniziava in un contesto storico di vent’anni fa e che coglieva in pieno lo stato delle cose in Italia: crisi della nazione, partiti governativi spazzati via da mani pulite, un vuoto immenso in un cratere dove si aggiravano zombies, col rischio che vincesse la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Non solo, ma il Cavaliere si preparò eccome, alla discesa in campo, attrezzandosi sia politicamente con un programma squisitamente liberale sia tecnicamente con un approccio assolutamente nuovo ispirato sostanzialmente all’antipartitismo, versione più pregnante dell’antipolitica, sia con una magistrale utilizzazione della tv che lui e soltanto lui, avendo inventata quella privata, sapeva maneggiare. Per di più, ed è quello che conta, riuscendo a trasmettere emozioni forti, intercettando gli umori profondi del Paese.

È curioso che tutti quelli citati e anche altri, dello stesso album di famiglia degli imprenditori, non facciano mente locale sulla completa diversità del Berlusconi di allora, dello spirito dei tempi e dell’irripetibile occasione che gli si era presentata: occupare un immenso vuoto lasciato da Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri e dai suoi leader finiti al macero e, contestualmente, offrire un’alternativa credibile. È bizzarro e persino infantile che uno come Della Valle, che pur ha fatto conoscere nel mondo l’irraggiungibile fascino del “made in Italy” di cui le sue “Tod’s” sono il vessillo fascinoso, non riesca a riflettere con attenzione sul contesto di oggi, e che, anzi, ne tragga motivi opposti, cioè funzionali alla sua scelta.

Il punto vero di tutte queste opzioni resta, comunque, la confusione fra successo aziendale e successo nella polis, mixando i due soggetti e ponendoli in interazione sinergica nell’illusione che vent’anni dopo lo stato delle cose in Italia sia così favorevole a analoghe discese in campo lasciando la trincea del lavoro per occuparsi, nientepopodimeno, di politica interna e internazionale, di economia disastrata, di jobs act, di conflitto fra Russia e Ucraina, di Europa, del mattatoio Isis, e di matrimoni fra gay all’estero, che uno come Angelino Alfano ha messo nel mirino (come se non avesse niente di più serio di cui occuparsi). Non solo tutti questi neofiti invasati dal voler entrare in politica non facciano abbastanza mente locale sulla parabola finale del Cavaliere scambiandola per un’occasione per il loro turno quando invece è uno stop irrimediabile.

E fingono di ignorare che la scena politica è occupata in lungo e in largo da un tipino come Matteo Renzi che proprio dal Cavaliere ha mutuato lo stile dell’approccio alla “chose” pubblica, ma l’ha affinato con certe reminiscenze che vanno da Ronald Reagan alla Margaret Thatcher a Tony Blair. E soprattutto a Bettino Craxi e al suo decisionismo, e che non è al termine della parabola ma al suo inizio, bene armato di quella insostituibile armatura che è la conoscenza scafata di quel mondo della politica, partiti, correnti, sindaci, poteri vari, senato, camera, sindacati che costituiscono un unicum complicatissimo la sua semplificazione lo stesso Renzi, proprio perché venuto dopo il Berlusconi che non ce l’ha fatta, sta mettendo in atto, a cominciare dalla messa in archivio di sindacati che, peraltro, solo uno di sinistra poteva compiere. La Cgil disattivata ne è il simbolo vistoso.

A meno che i nostri tycoon in fregola di politica scommettano sul fallimento renziano e si preparino alla bisogna. S’illudono che la storia si ripeta. Non è mai accaduto, se non come farsa(Carlo Marx). Perché anche nel caso di un fallimento del giovane Premier, saranno ben altri i suoi successori. Persino qualcuno che appare oggi così ai margini seppure attivo al Nazareno e dintorni, e magari d’accordo con lo sconfitto. Questo se andrà bene. Se andrà male, bye bye Della Valle e amici. Saranno cavoli acidi: per tutti. Intanto, loro si illudono, proprio come la Susanna Camusso. Illusione, dolce chimera sei tu...

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26