Ora ricominciare dalla “Politica”

I dati sono quelli, non si scappa. E i numeri pure. I fatti, poi, hanno la testa dura. Mixando dati e fatti almeno una cosa emerge, nitida e incontrovertibile: le sconfitte non servono (quasi) a niente. Nemmeno a riflettere, a pensare ed a guardare avanti. Soprattutto le perdite emerse al Nord, nella parte più produttiva, propulsiva e moderna del Paese. Basta uno sguardo alla nuova carta geografica scritta dai doppi risultati, europei ed amministrativi, per comprendere la vastità, la profondità e l’entità della flessione del centrodestra, Lega compresa, checché ne dica il pur irruente Matteo Salvini. Il suo sei per cento nazionale occulta le perdite diffuse e dolorose in Piemonte (che ha perso!), Lombardia, Veneto.

Non c’è molta differenza fra un quattro e rotti e un sei tondo. E mi fermo qui, salvo osservare che l’idea propositiva di mettersi tutti insieme in quell’area, come ambirebbe un Salvini vagamente imperialista, sia con a fianco il duo Toti/Brunetta che il Cavaliere calcistico che dà il suo ok, ma soltanto a Filippo Inzaghi e non a quell’estemporaneo progetto, la dice lunga sulle difficoltà presenti e pure future. Del resto, anche il quattro e rotti per cento del Nuovo Centrodestra parla da solo della complessità del quadro ben oltre l’insostenibile leggerezza di un risultato certamente a quota esistenziale ma pur sempre indicativo di una contraddizione: i rapporti di Governo con Renzi e quelli di ipotetiche alleanze con Berlusconi, con relative ricadute interne i cui sintomi sembrano avvertirsi nei sismografi nordici agitati da un Formigoni in competizione con un Lupi alle prese con scelte imminenti destinate a collidere anche con Alfano in cerca di Casini; un politico che, almeno, sa di cosa si parla.

Peraltro, quanto possa resistere un equilibrio così fragile nessuno lo sa, a parte Renzi. Il quale ha bensì l’interesse a tenere i piedi in due scarpe targate l’una Berlusconi per le riforme e l’altra Alfano per il Governo, ma fino a quando gli conviene e, soprattutto, fino a quando durante l’ormai mitico semestre europeo - che sembra ed è un contenitore quasi impossibile da riempire giacché conta la Commissione che verrà - si noteranno o meno gli indici di risalita della nostra economia.

E Berlusconi? E Forza Italia? Siccome siamo uomini di mondo, non infieriamo neppure sulla incredibilmente tragica campagna elettorale. E ho detto tutto. E dunque, sembra che non siano servite le batoste se non a cianciare di alleanze immaginifiche dimenticando che consistono, essenzialmente, in una sommatoria di debolezze. È il classico mettere il carro davanti ai buoi, con l’aggiunta che il carro è desolatamente semivuoto e i buoi sono disperatamente stremati.

Ma nessuno dice il perché: del carro semivuoto e dei trainanti stanchissimi. Nessuno a quanto pare ha iniziato quella vera e obbligatoria riflessione sulle ragioni della perdita in sette anni di dieci milioni di voti, comprese le scissioni le quali sono sempre la spia di una malattia endemica che conduce, appunto, alle emorragie elettorali. Soltanto una severa analisi autocritica di questo inesorabile declino può condurre a conclusioni da cui ripartire, altrimenti l'inesorabilità diventa la regola che determina ulteriori debacle, fino all’esaurimento di un’area politica. Tertium non datur.

L’esempio della sconfitta di Cattaneo è una sorta di punto di non ritorno perché indica l’errore grossolano di voler far coincidere la indubbia simpatia di un bravo sindaco con un’ipotetica sua forza nuova e innovativa e propulsiva fondata tuttavia su un quadro statico, stanco, diviso e velleitario, in cui spicca l’ennesimo fallo di rigore di una Lega che è bravissima a votare solo per se stessa, vedi Padova, per poi invocare un’alleanza di ferro con i perdenti per colpa sua. Ma il caso Pavia ci offre una narrazione squisitamente politica. Diventa cioè la metafora di una Forza Italia che si illude di vincere soltanto perché ha un sindaco di ottimo gradimento, cullandosi nell’illusione di uno share che non può né crescere né estendersi se ha una base, cioè un partito, in piena crisi di identità e di leadership. Bisognerebbe cominciare a domandarsi: perché dovrebbero votare FI o centrodestra? Già, perché? Risolvere il problema; identità e leadership. Riprendere a parlare e fare politica, offrire un progetto credibile, ricostituire un’area liberale e riformista, liberista e aperta. E tollerante. Di pensare Paese. Né più né meno. Altrimenti...

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22