Media e sondaggi alle corde: perché?

Dunque, a che punto siamo? Al punto e a capo, ad essere buoni. O meglio, al punto di non ritorno. Parliamo dei media e dei sondaggi che per l’ennesima volta hanno toppato. Non tutti, s’intende, ma c’era nell’aria, indubbiamente, questa sensazione di un eccesso, di una mainstream e di una bulimia d’appoggio (a Beppe Grillo) che pochi fra i sondaggisti (parlo di Crespi il saggio che già citammo in parallelo alla vespata di Grillo). Ed è proprio da quel salotto, dalla mitica terza camera, che si doveva comprendere il vero e autentico bluff del comico genovese. E che un brillante ed espulso grillino, Giovanni Favia, aveva azzeccato con uno sferzante commento: “Sembrava che il candidato da votare fosse lui, Bruno Vespa, e non Grillo”. C’era in questa sentenza qualcosa che ricapitolava, in nome della Dea Nemesi, la tsunamica avventura pentastellata i cui sintomi di malattia grave italiana apparivano vistosamente segnati dal combinato disposto media-sondaggi nella misura in cui gli uni e gli altri si energizzavano vicendevolmente pompando il buffone genovese nell’autoconvinzione di determinare, in re ipsa, le risposte del popolo.

Che cosa non ha dunque funzionato nell’analisi? Che cosa ha condotto ad un abbaglio così eclatante per cui nessun media, nessun sondaggio ha previsto la valanga di Matteo Renzi e, contestualmente, la sconfitta dei Cinque Stelle? Innanzitutto la sopravvalutazione del proprio ruolo, la sua ascesa su un trono infallibile e giudicatorio, capace cioè di influenzare le coscienze. Come il conduttore tipo delle piazze urlanti, tutte, volutamente confuse con il corpaccione italico, in vero così poliedrico e polifonico, e soprattutto desideroso di stabilità, di sicurezza e di riforme. Neppure il monito del vecchio Pietro Nenni: “Piazze piene, urne vuote” sovvenne ai tanti. Presi, quasi tutti, da una sorta di incantamento che li spingeva sempre più in su verso quel trono inappellabile di giudici e profeti, mentre la politica (la Casta) scendeva sempre più in giù nelle fogne, nella sentina di ogni vizio.

Senza accorgersi dei mutamenti in corso, delle modificazioni in atto provocate dalla crisi e del conseguente bisogno di quiete (la tempesta non è mai eterna, come la notte) e delle novità e sicurezze renziane. La cura a questa discesa agli inferi politici era stata da molti indicata in Grillo, che proprio dall’accanita distruzione mediatica di una politica piccola piccola diventava sempre più grande, grosso, violento ed arrogante. Invece di capire subito che lui era la malattia e non la cura. Ma si sa, errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Hanno perseverato, troppi, nell’autoinganno che fossero loro i decisori infallibili le cui profezie divenivano necessariamente auto-avverarsi. I novelli giudici supremi. Conduttori di danze senza però ascoltare le voci dentro: quelle di un paese che, al contrario di loro, stava reagendo ai morsi della crisi, cominciava a intravedere e agevolare la rinascita della Politica e respingeva via le esplosioni di odio grillesche, i suoi processi di piazza e i suoi modellini carcerari davanti ai quali sorridevano, magari vedendo la propria celletta: che errore.

Persino il Cavaliere, peraltro impicciato ma non disattento nella sua crepuscolare malinconia, aveva messo in guardia dai furori distruttivi di quel tipaccio “sporco e cattivo” il quale, nel momento stesso in cui veniva vespizzato in tutto il suo “vaffa” mostrandosi buono e condiscendente, subiva la legge del contrappasso, ovverosia della scoperta del suo bluff. Anticipata da quell’imbarazzante guru “sotto il cappellino niente”. Bastava aspettare, si scrisse allora di quel Casaleggio da setta di provincia. E adesso? Adesso possiamo dire che i troppi bluff sono alle corde, al capolinea. Ognuno cercando di scendere giù, sulla terra, di ritornare al proprio ruolo. Si ricomincia. Dalla Politica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21