
I due anni di interdizione dai pubblici uffici confermati dalla Cassazione a Silvio Berlusconi non rappresentano la conclusione della parabola politica del Cavaliere. A pensarlo sono quanti hanno fatto dell’antiberlusconismo viscerale la loro ragione di vita e la loro professione. E, soprattutto, sono quanti contano di sfruttare il vuoto che la fuoriuscita dalla politica di Berlusconi determinerebbe per occuparne il posto senza problemi di sorta.
Ma il ragionamento degli uni e degli altri è sbagliato. Perché la Cassazione si è limitata a confermare una sentenza ingiusta in nome del motto caro ai giustizialisti nostrani del “fiat justitia et pereat Berlusconi”. Cioè ha decretato la fine giuridica dell’unico “mundus” verso cui pensano si debba rivolgere lo “jus”. Ma non ha affatto stabilito la fine politica del Cavaliere. Una fine che non può essere determinata sul terreno giudiziario, ma può avvenire solo sul terreno politico e solo in seguito al mutamento delle condizioni e dei rapporti di forza su cui si basa il ruolo pubblico di Berlusconi.
Nessuno esclude che l’impossibilità del leader di Forza Italia di candidarsi e di partecipare in forma diretta alla prossima campagna elettorale europea a causa delle prossime decisioni del Tribunale di Milano possa tradursi in un calo di voti per il suo partito. Potrebbe essere la normale e contingente conseguenza dell’azzoppamento per via giudiziaria. Ma come escludere anche l’ipotesi contraria? Cioè che in reazione all’evidente persecuzione giudiziaria l’elettorato di centrodestra possa fare quadrato attorno ad un partito segnato sempre dal nome del suo fondatore?
In ogni caso, chi pensa di raccogliere gli eventuali voti in uscita da Forza Italia fa male i suoi conti. Gli elettori di Berlusconi possono finire nell’astensione, magari nella protesta grillina o addirittura farsi catturare in minima parte dall’illusione renziana. Ma difficilmente potrebbero finire ai centristi opportunisti o agli emuli di Fini. Ma, soprattutto, chi pensa di approfittare del voto europeo per sfruttare a proprio vantaggio l’azzoppamento giudiziario del leader di Forza Italia, non tiene conto del fatto che nell’attuale situazione politica nessuno può togliere a Berlusconi ed al suo partito il ruolo di partner indispensabile di Matteo Renzi per le grandi riforme da realizzare, pena il tracollo definitivo del Paese. Un ruolo del genere non può essere azzerato dai giustizialisti ottusi, dai magistrati politicizzati o dagli ex amici opportunisti ed irriconoscenti. Può cambiare solo se Berlusconi e Forza Italia decidono di farlo o se, in seguito a nuove elezioni politiche, il futuro Parlamento dovesse essere caratterizzato da un sostanziale mutamento degli attuali rapporti di forza tra i grandi partiti.
Certo, può anche essere che, come si augurano i suoi nemici, Forza Italia si sfaldi. Ma chi è quel deputato o senatore oggi berlusconiano che rinuncerebbe al ruolo determinante di oggi (e alla candidatura riconfermata alle prossime elezioni) in cambio di un salto nel vuoto in partiti dove la ricandidatura non sarebbe affatto sicura? La Cassazione, quindi, non ha posto fine alla storia politica di Berlusconi. L’ha semplicemente cambiata, confermando che il leader del centrodestra d’ora in avanti sarà un leader extraparlamentare. Come Beppe Grillo ed i tanti altri che non hanno bisogno di stare in Parlamento per incidere sulla politica nazionale. Essere un leader extraparlamentare può essere un difetto agli occhi dei conformisti. Ma può anche essere un’opportunità se chi lo è, come Berlusconi, può presentarsi al Paese ed ai propri elettori come la vittima di una persecuzione che va avanti da vent’anni e che ora ha raggiunto il suo apice più ingiusto e pesante.
Nessuno sottovaluti questo particolare. Perché giusto al suo livello massimo il giustizialismo antiberlusconiano non può che rifluire. E lasciare lo spazio ad un processo inverso ancora tutto da sviluppare. Quello dei processi ai processatori!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26