Quel doppio Stato che viene da lontano

L’idea, dico l’idea, di mettere in onda (su Servizio Pubblico) le telefonate palermitane coinvolgenti il Quirinale e Mancino a proposito della trattativa Stato-Mafia, non è di oggi. L’idea, non l’azione, non la scelta, non l’atto. L’idea è “cosa” antica, direbbe Sciascia. Era, probabilmente, nella testa degli stessi di oggi, e non solo di loro, ancor prima che esplodesse il “caso Quirinale” con l’inchiesta di Ingroia, ancor prima degli exploit mediatici di Ciancimino jr rivelatesi in gran parte delle patacche e ben prima delle rivelazioni di Spatuzza, che hanno innescato un singolare combinato disposto mediatico-giudiziario. E che dire delle interviste al pentito Scarantino con annessi e connessi anti- berlusconiani.

L’idea di mettere in mezzo il Presidente della Repubblica, questa idea, non l’altra di oltre vent’anni fa quando su impulso dell’allora Pm Casson, attualmente parlamentare dei Ds, quel partito chiese l’impeachment di Cossiga per la vicenda Gladio e le picconate anti-Pci e anti-Dc. E forse neppure nell’attuale impeachment depositato dai grillini, che non sanno più quale inutile violenza mettere in atto, su su sempre più in alto, vecchi contestatori, isolati e autoemarginati dal grande gioco della politica. L’idea viene, né più né meno, che dalle antiche teorie, poi messe in pratica e in politica dai (post)comunisti e sui (loro) libri e che si possono riassumere nella magica frase: doppio Stato.

È un teorema storico-politico nato nel dopoguerra e sviluppatosi soprattutto nel corso dei ‘70, dopo la strage (di Stato) di piazza Fontana da Pinelli al povero commissario Calabresi, e non solo. Il teorema, rafforzato dall’intellighenzia progressista e diffuso ed esposto in libri e saggi, fra cui quelli sul “Corriere” di Pasolini consisteva nella certezza (!!) storica acquista che nel nostro Paese fossero per lunghi anni convissuti due Stati, uno legale, legittimo, democratico, e l’altro illegale, oscuro, alleato col crimine e la mafia e funzionale all’impedimento dell’accesso al potere dell’unica forza sana del Paese, cioè il Pci.

Questa teoria è stata per lunghi anni la giustificazione di tutto e l’opposto di tutto, dal terrorismo rosso che devastò l’Italia alle stragi “nere” dove, sempre secondo lo schema, spezzoni di Stato, infedele e criminale (il doppio Stato) erano intervenuti per depistare. Ed eccoci all’idea, anzi, alla messa in onda di quelle telefonate palermitane coinvolgenti il Quirinale. Qui non si vuole prendere, senza neppure sentire, posizione per nessuno. Ma l’operazione santoriana va a incasellarsi nell’analogo schema del doppio Stato, ovvero della trattativa Stato-Mafia, dopo l’assassinio di Falcone, soprattutto, di Borsellino e successive bombe, in cui riappare, appunto, il doppio Stato coi suoi uomini e ministri legittimi e responsabili e con altri ministri, invece, illegali e collusi, depistanti, fra cui il più illustre è il generale Mori, i cui meriti nella lotta alla mafia sono indiscussi.

E che è già stato assolto in un processo analogo a quello che sta subendo, da imputato, a Palermo. Il “cui prodest” di simili operazioni non è di difficile decrittazione. Una partita, quella contro Napolitano - che pure aveva ottenuto dalla Corte la distruzione delle bobine che lo riguardano ritenute intercettazioni illegali - che sembra soprattutto mediatica, grazie alla bravura espositiva della narrazione di Santoro, ma che non è giudiziaria e neppure storica.

È un teorema, peraltro indimostrabile storicamente, col quale si sta dando l’assalto ad una delle pochissime istituzioni che hanno retto in questi anni in cui la politica si è auto-delegittimata vergognosamente mentre salivano, in voti gli inqualificabili e triviali grillini, e in cattedra i mass media e loro conduttori delle coscienze. Solo che adesso la politica sta cambiando. Sta ritrovando lo scettro smarrito. Gli accordi di ferro vanno avanti. Things change, appunto.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21