Lo scandalo è il blocco sulle Toghe

Antonio Ingroia ha subito gridato allo scandalo sostenendo che il Pdl vuole realizzare il programma della P2 di mettere sotto controllo politico la magistratura. E sulla sua scia si sono subito messi anche alcuni esponenti del Pd che hanno immediatamente reagito alla proposta del senatore Donato Bruno di rivedere i rapporti tra Capo dello Stato, Csm e Corte Costituzionale nel caso di una riforma costituzionale destinata ad introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, lanciando lo slogan che la “magistratura non si tocca”. Ma lo scandalo non è il tentativo di Pdl di applicare il programma di Gelli.

È la reazione degli Ingroia e dei suoi imitatori del Pd ad un’iniziativa tesa all’esatto contrario. Cioè ad impedire che in caso di elezione diretta del Capo dello Stato il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte Costituzionale diventino di fatto subordinate e dipendenti da una Presidenza della Repubblica diventata espressione di un potere esecutivo infinitamente rafforzato rispetto a quello attuale. Potrebbe un Capo dello Stato eletto direttamente dal corpo elettorale assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura svolgendo le funzioni di presidente effettivo del Consiglio Superiore della Magistratura e potendo decidere la composizione della Corte Costituzionale? Se all’epoca del suo scontro con il Csm l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, avesse avuto i poteri di un Capo dello Stato eletto direttamente avrebbe fatto entrare i carabinieri a Palazzo dei Marescialli e arrestare i componenti dell’organo di autocontrollo della magistratura per attentato agli organi costituzionali.

Lo scandalo, allora, non è nell’ovvio tentativo di predisporre una riforma costituzionale organica e capace di realizzare nuovi pesi e contrappesi in grado di assicurare l’equilibrio dei poteri. È nella dimostrazione lampante, addirittura sfacciata, che una parte della sinistra trasformatasi in un fronte di ottusa conservazione l’obiettivo da perseguire non è quello delle riforme in grado di modernizzare e rendere più efficienti le istituzioni ma è quello di non toccare in alcun modo lo strapotere di cui gode la magistratura grazie all’insensatezza dei legislatori della Prima Repubblica, alla degenerazione corporativa di parte della categoria e all’interesse della sinistra di poter contare sull’uso politico della giustizia per eliminare i propri avversari senza essere costretta a ricorrere all’arma del voto. Se questo è il vero scandalo, allora, si capisce come il lavoro dei saggi per le riforme avviato dal governo Letta e gli impegni assunti dal Pd in favore di una seria riforma istituzionale siano solo una gigantesca cortina fumogena tesa a nascondere il proposito di non toccare nulla.

Per perpetuare all’infinito (o, quanto meno, almeno finché riesca a reggere) quello squilibrio istituzionale che mette il potere esecutivo e legislativo alla mercé di pezzi del potere giudiziario sostenuti dai gruppi egemoni dell’informazione e della cultura. Se così è le riforme diventano una truffa . E, soprattutto, diventa una truffa la cosiddetta pacificazione che dovrebbe essere perseguita e realizzata attraverso l’azione del governo di larghe intese. Smascherare le truffe diventa un atto di sopravvivenza. E pretendere atti concreti che smentiscano il rischio di blocco conservatore dell’esistente diventa l’unico modo per tenere in piedi il governo e cercare di realizzare, malgrado tutto, la pacificazione.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:17