Lo scandalo è il blocco sulle Toghe

sabato 29 giugno 2013


Antonio Ingroia ha subito gridato allo scandalo sostenendo che il Pdl vuole realizzare il programma della P2 di mettere sotto controllo politico la magistratura. E sulla sua scia si sono subito messi anche alcuni esponenti del Pd che hanno immediatamente reagito alla proposta del senatore Donato Bruno di rivedere i rapporti tra Capo dello Stato, Csm e Corte Costituzionale nel caso di una riforma costituzionale destinata ad introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, lanciando lo slogan che la “magistratura non si tocca”. Ma lo scandalo non è il tentativo di Pdl di applicare il programma di Gelli.

È la reazione degli Ingroia e dei suoi imitatori del Pd ad un’iniziativa tesa all’esatto contrario. Cioè ad impedire che in caso di elezione diretta del Capo dello Stato il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte Costituzionale diventino di fatto subordinate e dipendenti da una Presidenza della Repubblica diventata espressione di un potere esecutivo infinitamente rafforzato rispetto a quello attuale. Potrebbe un Capo dello Stato eletto direttamente dal corpo elettorale assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura svolgendo le funzioni di presidente effettivo del Consiglio Superiore della Magistratura e potendo decidere la composizione della Corte Costituzionale? Se all’epoca del suo scontro con il Csm l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, avesse avuto i poteri di un Capo dello Stato eletto direttamente avrebbe fatto entrare i carabinieri a Palazzo dei Marescialli e arrestare i componenti dell’organo di autocontrollo della magistratura per attentato agli organi costituzionali.

Lo scandalo, allora, non è nell’ovvio tentativo di predisporre una riforma costituzionale organica e capace di realizzare nuovi pesi e contrappesi in grado di assicurare l’equilibrio dei poteri. È nella dimostrazione lampante, addirittura sfacciata, che una parte della sinistra trasformatasi in un fronte di ottusa conservazione l’obiettivo da perseguire non è quello delle riforme in grado di modernizzare e rendere più efficienti le istituzioni ma è quello di non toccare in alcun modo lo strapotere di cui gode la magistratura grazie all’insensatezza dei legislatori della Prima Repubblica, alla degenerazione corporativa di parte della categoria e all’interesse della sinistra di poter contare sull’uso politico della giustizia per eliminare i propri avversari senza essere costretta a ricorrere all’arma del voto. Se questo è il vero scandalo, allora, si capisce come il lavoro dei saggi per le riforme avviato dal governo Letta e gli impegni assunti dal Pd in favore di una seria riforma istituzionale siano solo una gigantesca cortina fumogena tesa a nascondere il proposito di non toccare nulla.

Per perpetuare all’infinito (o, quanto meno, almeno finché riesca a reggere) quello squilibrio istituzionale che mette il potere esecutivo e legislativo alla mercé di pezzi del potere giudiziario sostenuti dai gruppi egemoni dell’informazione e della cultura. Se così è le riforme diventano una truffa . E, soprattutto, diventa una truffa la cosiddetta pacificazione che dovrebbe essere perseguita e realizzata attraverso l’azione del governo di larghe intese. Smascherare le truffe diventa un atto di sopravvivenza. E pretendere atti concreti che smentiscano il rischio di blocco conservatore dell’esistente diventa l’unico modo per tenere in piedi il governo e cercare di realizzare, malgrado tutto, la pacificazione.


di Arturo Diaconale