Concordia nazionale e scontro frontale

Da una parte la necessità della concordia nazionale, dall'altra la decisione della radicalizzazione dello scontro. La prima parte è interpretata da Giorgio Napolitano, la seconda da Pier Luigi Bersani. Il Capo dello Stato, non solo in omaggio al proprio ruolo istituzionale di garante dell'unità nazionale ma anche perché convinto che la conflittualità politica aggrava e non risolve la crisi in atto, è l'espressione della concordia nazionale. Che ha perseguito favorendo la nascita del governo tecnico in cui i due grandi schieramenti alternativi del bipolarismo hanno stipulato una tregua in nome dell'emergenza. E che continua a perseguire anche nelle ultime giornate del proprio mandato chiedendo alle forze politiche presenti nel nuovo Parlamento di dare vita il più presto possibile ad un governo che abbia la possibilità, grazie ad una maggioranza definita, di poter svolgere efficacemente il proprio compito emergenziale. Il segretario del Pd è in questo momento l'antitesi di Napolitano.

Ossessionato dalla resurrezione elettorale di Berlusconi e dalla necessità di recuperare i voti della sinistra confluiti sul Movimento Cinque Stelle, si è convinto che l'unico modo per conseguire i due obbiettivi sia quello della radicalizzazione dello scontro con il Cavaliere. E nel momento in cui sul nostro paese rischia di arrivare il vento destabilizzante dell'euro e della Unione Europea fatto nascere a Cipro dalle pretese ottuse dei banchieri dell'Europa del Nord, pensa di convincere Beppe Grillo a sostenere un governo a guida Pd offrendogli la distruzione del Cavaliere attraverso non solo l'arma giudiziaria ma soprattutto quella legislativa ( anticorruzione, conflitto d'interessi, ineleggibilità e via di seguito). Coesione nazionale o radicalizzazione dello scontro? Poiché sembra chiaro che Napolitano difficilmente potrebbe sconfessare se stesso decidendo di benedire la linea della radicalizzazione, è nata tra le file di chi pensa che solo la testa di Berlusconi può ammansire la belva Grillo l'idea di fare a meno di questo Capo dello Stato. Cioè di tirare la crisi di governo oltre il 15 aprile, data in cui il Parlamento è chiamato ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, per sostituire Napolitano con un Capo dello Stato disposto a cavalcare la strategia della radicalizzazione e consentire a Bersani di dare finalmente vita ad un governo appoggiato da parte o da tutti i grillini.

Ma è proprio questa idea balzana a rendere evidente l'irresponsabilità e la confusione mentale dei teorici di una nuova guerra civile contro il centrodestra per consentire al Pd di avere sempre meno nemici a sinistra. Se il problema fosse Berlusconi e la sua presenza sulla scena politica la loro strategia avrebbe un qualche senso. Ma il problema non è il Cavaliere ma la crisi. Quella che ha fatto sfondare il debito pubblico oltre il tetto dei duemila miliardi, ha provocato una disoccupazione galoppante, ha imposto una pressione fiscale insostenibile e sta provocando il ritorno alla proletarizzazione di tutti i ceti medio-bassi del paese con il rischio di tensioni sociali incontrollabili. Si può permettere il paese la paralisi della crisi di governo in attesa di un nuovo Capo dello Stato disponibile a tradire la linea della coesione nazionale di Napolitano ed a spostare la strategia della radicalizzazione dello scontro di Bersani? La risposta è scontata. Ma solo per le persone di buon senso. Che però non mancano neppure all'interno del Partito Democratico a dispetto del girotondismo fuori tempo di un segretario pericoloso per se e per gli altri. A loro non resta che appellarsi. Nella speranza che la crisi decida di aspettare il loro risveglio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:53