Trump ha bisogno di Giorgia Meloni (molto più di quanto egli pensi)

L’incontro di Washington fra Donald Trump e Giorgia Meloni, che è stato per giorni al centro dell’attenzione della politica e dei media, continua ad avere echi. Per motivi di informazione giornalistica: gli inizi del secondo mandato di Trump sono stati a dir poco burrascosi e controversi; il presidente Meloni è un leader seguito con molto interesse dai media in generale, ed era il primo a essere ricevuto da Trump alla Casa Bianca dopo l’introduzione dei dazi commerciali. Ma soprattutto per ragioni politiche oggettive, cioè concrete, perché il terremoto economico-finanziario registrato dalle borse di tutto il mondo rinvia a un epicentro costituito, per estensione, dall’Occidente; e poiché quelle scosse trovano nell’attuale frattura atlantica il loro punto d’inflessione, Giorgia Meloni è un osservato speciale, essendo il maggior sostenitore della necessità di tenere unito il quadrante occidentale e offrendo un contributo senza dubbio coraggioso alla soluzione del rebus geopolitico più ingarbugliato degli ultimi cinquant’anni.

Che la missione americana sia stata un successo per Giorgia (e quindi per l’Italia), lo riconoscono tutti, con l’eccezione dei soliti mentitori incalliti della sinistra più o meno estrema. Lo stile personale della premier italiana si è manifestato in modo netto e, in alcuni momenti, clamoroso. Diplomazia e temperamento, rispetto dei codici di comportamento ed elasticità nelle situazioni contingenti. Insomma: correttezza, simpatia e carattere. E come gli psicologi ben sanno, nelle interlocuzioni gli atteggiamenti di uno possono influire su quelli dell’altro, e se uno è misurato può indurre alla misura anche l’altro, se è simpatico trasmette simpatia. Inoltre, anche le informazioni acquisite e il giudizio precedentemente formato sull’interlocutore hanno un ruolo decisivo nello svolgersi di un incontro. E che il presidente degli Stati Uniti avesse un giudizio positivo sul presidente del Consiglio italiano è risaltato con evidenza.

Di rimbalzo, Trump ha infatti avuto un atteggiamento assai più posato del suo solito, si è contenuto nell’eloquio, non ha lanciato strali antieuropei e anzi si è dimostrato disponibile verso l’Unione Europea, non ha ecceduto sull’Ucraina come in altre circostanze. Forma? Sì, ma in determinate circostanze e su determinati temi la forma è sostanza. Quindi quella (certo, sempre relativa) misuratezza del presidente Trump va considerata come un successo politico del presidente Meloni. Le cancellerie occidentali se ne sono rese conto; alcuni media europei particolarmente influenti confezionano giudizi positivi basati su dati oggettivi; l’agenda politica è quanto mai attenta.

Che Meloni abbia convinto Trump a incontrare a breve Ursula von der Leyen è assodato, e che l’incontro possa avvenire a Roma è un’ipotesi sul tavolo. Ma in fin dei conti il luogo del colloquio è poco rilevante, mentre è rilevante che Giorgia abbia potuto dare a Trump una scossa “da destra”, dalla destra autentica, quella liberalconservatrice (e non dalla pseudodestra antiliberale e filorussa). Se un consiglio o anche una critica provengono da un amico, sono recepiti e valutati molto diversamente che se arrivano da un avversario. E poiché Giorgia, da parecchi anni ormai, è un amico accertato di Trump e dei conservatori americani, le sue parole – suggerimenti o critiche – saranno sempre ascoltate in chiave positiva. Questo è un aspetto che spesso viene trascurato nelle analisi delle attuali relazioni italo-statunitensi e che costituisce il fondamento del fatto che Trump abbia assoluta necessità della sponda di Giorgia Meloni.

Tutte le analisi convergono su un punto: l’Europa ha bisogno di trovare un ponte solido verso l’America trumpiana e la collocazione privilegiata di Giorgia Meloni rappresenta una possibilità praticabile, che ovviamente non esclude altre, ma che possiede una superiore affidabilità. Senza dubbio è così, ma questo è solo un versante della relazione. Infatti, che se ne renda conto o meno, Trump ha bisogno di Giorgia Meloni (e dell’Europa) più di quanto Giorgia e l’Europa abbiano bisogno di Trump. Ne ha bisogno non tanto per avvicinarsi formalmente alle istituzioni eurocomunitarie, e al limite nemmeno per migliorare i rapporti commerciali, quanto piuttosto per un’istanza non direttamente materiale e tuttavia fondamentale: per non passare alla storia come il presidente che ha disgregato non solo l’alleanza occidentale che trova nella Nato il suo braccio militare, bensì perfino il senso politico-esistenziale dell’Occidente.

L’unità dell’Occidente, su cui Giorgia insiste da tempo, è infatti un valore – politico, culturale e spirituale – da difendere e rafforzare senza esitazioni. Infatti, se l’Occidente come dimensione geopolitica è la sola «circostanza» nella quale lo spirito che l’ha prodotta e che ha animato i suoi abitanti da più di duemila anni può continuare a esistere, allora, applicando la tesi di Ortega y Gasset, se non salviamo questa nostra «circostanza» non salveremo neanche noi stessi.

Al di là dei risultati più vistosi, la visita del presidente Meloni ha avuto soprattutto questo scopo di orizzonte storico-politico: segnalare agli Stati Uniti d’America che senza l’unità dell’Occidente nemmeno essi potranno essere «grandi», e richiamare il presidente Trump ai suoi doveri verso l’Occidente, i quali – a ben guardare – coincidono anche con gli interessi strategici degli Stati Uniti. Non ci sarà alcuna Grande America senza l’insieme occidentale. Niente MAGA senza UE. Ecco perché la tesi di Meloni sull’Occidente è imprescindibile, anche per Trump.

Il presidente Trump non vuole che gli Stati Uniti facciano più, come si diceva un tempo, il poliziotto del mondo. D’accordo, ciascuno fa i conti con le proprie finanze e ciascun governo decide dove indirizzare il denaro pubblico, ma se questo è un orientamento politico più che finanziario, non va affatto bene, perché se il poliziotto si ritira, resta campo libero per i malviventi, per gli Stati canaglia o per i nemici dell’Occidente, come la Russia putiniana. Il risultato sarebbe un mappamondo frantumato, in cui le antiche alleanze si disarticoleranno e in cui si dovranno ridisegnare nuovi schemi, con tutte le incognite del caso. In un panorama così sfrangiato, gli Stati occidentali diventeranno bersaglio di qualunque predone voglia cercare bottino. Tutto ciò con il rischio che l’Occidente, anche se poi lo volesse, non riesca più a recuperare il terreno perduto. Questo è lo scenario peggiore ma anche il più probabile, che dunque va assolutamente evitato, per il bene non solo dell’Europa ma anche dell’America.

Trump ha bisogno di Giorgia Meloni anche per capire che la Russia di Putin è un nostro comune nemico, non l’unico ma senza dubbio quello che più da vicino minaccia l’unità e l’esistenza dell’Occidente. La Russia vuole un’Europa debole (a differenza della Cina, che la vuole quanto meno in salute per poter venderle le proprie merci), e se Trump contribuisce ad indebolirla (senza per altro guadagnarci alcunché, come dimostrano i recenti indicatori economico-finanziari), sta facendo un servizio a Putin. Posto che questo non sia il suo intento (perché in caso contrario la catastrofe sarebbe ineluttabile e totale), è evidente che gli va segnalata la contraddizione. E chi può farlo, se non un amico?

È Giorgia Meloni dunque a poter spiegargli che intorno alla questione russa si gioca oggi la medesima partita, con carte diverse ma con regole simili, della guerra fredda; che il popolo ucraino sta difendendo l’onore non solo della propria patria ma pure quello dell’Europa e dell’intero Occidente; che la Russia è per noi una minaccia analoga a quella rappresentata un tempo dall’Unione Sovietica; che la struttura dell’Unione Europea è piena di magagne e va profondamente riformata, ma che non va distrutta, perché la storia non ci concederà un’altra occasione (e la Russia, come un avvoltoio, non aspetta altro).

Al presidente Trump (e al suo governo) va spiegato e affermato il valore dell’Alleanza Atlantica, il ruolo fondamentale della Nato. Quando Trump dice: «se gli Stati Uniti avessero un problema e si rivolgessero alla Francia o a qualche altro Paese e dicessero, ‘abbiamo un problema’, pensate che verrebbero ad aiutarci come dovrebbero? Non ne sono sicuro», è Giorgia Meloni a poterlo rassicurare, a ricordargli che gli alleati europei hanno sostenuto gli Stati Uniti sempre, quando ne hanno avuto bisogno, e continueranno a farlo; che gli europei, tutti, hanno partecipato alle guerre scaturite dall’11 settembre; che gli italiani hanno pianto i propri soldati uccisi a Nassirya. Capire tutto ciò è per Trump di importanza fondamentale, ed è anche per questo che ha bisogno del consiglio, della cooperazione e del sostegno di una statista come Giorgia Meloni.

Aggiornato il 06 maggio 2025 alle ore 09:47