Crisi e tasse: uno stress mortale

Quando a metà dello scorso aprile l'International Herald Tribune titolò in prima pagina «Nella crisi della zona euro lo stress diventa mortale», fummo colpiti dalla forza di quelle parole che irrompevano nella discussione pubblica sugli effetti della catastrofe economica occidentale e commentammo su Notapolitica.it, con dolore ed incredulità, l'approssimarsi di una follia collettiva indotta dalle politiche recessive in atto nel continente. Mai, comunque, avremmo immaginato che la notte della ragione e della disperazione si sarebbe spinta, soprattutto nel nostro paese, ben oltre ogni più pessimistica previsione.

Lo choccante sequestro di quindici persone nella sede dell'Agenzia delle entrate di Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, da parte di un imprenditore annichilito dall'impossibilità di far fronte alla pressione fiscale che lo aveva prostrato fino a fargli commettere un gesto sconsiderato, per fortuna senza conseguenze cruente, è il sintomo più evidente di una situazione diventata insostenibile, dopo cinquantasei suicidi in quattro mesi, decine di proteste più o meno violente contro se stessi di operai e datori di lavoro, storie di miserie diventate ordinarie e raccontate da giornali e telegiornali con la sufficienza propria di eventi che fanno parte "necessariamente" ed "inevitabilmente" del paesaggio sociale e politico del Paese. Non ci stiamo a considerare "normale" quello che sta accadendo. E ci rifiutiamo di unirci al coro degli ipocriti che biasimano, si indignano, si lamentano, esprimono dolore, ma evitano accuratamente di dire che di tasse si muore e non proferiscono neppure una parola in replica a chi vorrebbe giustificare, in alto loco s'intende, le vittime delle tasse stesse, ricordando  gli oltre mille greci che si sono tolti la vita perché non resistevano più alla morsa della miseria. Non esiste, non può esistere lo spread della morte. E chi ritiene di salvarsi la coscienza in questo modo è al massimo un contabile da cimitero, piuttosto che un ragioniere chiamato a risanare - quanto grottesca suona oggi questa parola - un paese che non merita la classe politica che si ritrova, tecnica o partitica che sia. Sì, aveva ragione l'Herald Tribune: uccide più il disagio che la criminalità comune. E quando si arriva al mattino davanti al cancello dell'azienda nella quale si è lavorato per una vita e lo si trova sbarrato, cos'altro resta a chi deve comunicare alla propria famiglia che da quel momento in poi bisognerà vivere come accattoni? E chi si trova dall'altra l'arte del cancello, cosa deve dire a se stesso, magari a propri avi che gli hanno lasciato in eredità la fabbrichetta che sfamava centinaia di persone, tutte conosciute da sempre? Forse, penserà, meglio farla finita piuttosto che affogare nella vergogna anche per non essersi saputi far pagare dalle pubbliche amministrazioni il dovuto in tempi congrui. Creditori dello Stato sì, debitori mai. Dove vige questa legge disumana? Ma in Italia, naturalmente, il Belpaese nel quale se qualcuno si permette di avanzare la modesta proposta di una compensazione tra crediti vantati e tasse da versare, come oche del Campidoglio reagiscono i risanatori, bravissimi e solerti nell'inventarsi gabelle, ma terribilmente incapaci di immaginare modelli di crescita e di sviluppo per un popolo che è fin troppo paziente al punto di pagare sempre tutto e comunque, posto che gli  evasori sono una minoranza che un potente Stato occidentale non riesce a sconfiggere e deve ricorrere alla spettacolarizzazione degli accertamenti (altrove silenziosi, discreti ed abituali) per mostrare la propria forza.

Non può continuare così. Non ci si può uccidere o impazzire perché non ce la si fa a pagare tasse inique e, dunque, insopportabili. Non si può andare in depressione per l'Imu che dovrebbe ridurci tutti sul lastrico: la più vergognosa delle imposte immaginate la cui applicazione è oltretutto complicata e nessuno ad oggi sa a quanto ammonterà alla fine. I partiti che sostengono il governo hanno forse eccepito questo particolare che introduce ad una verifica di costituzionalità posto che lo Statuto del contribuente prevede a chiare lettere che con almeno un anno di anticipo sul pagamento deve essere quantificata dall'amministrazione tributaria la cifra da pagare? Neppure per sogno. Si sta così, disperati, in attesa del prossimo "matto" che si fa saltare il cervello o si butta dalla finestra. O magari tenta una strage, non mancando di finire egli stesso in un lago si sangue. Non ci piace questo Paese; non ci piace questa Europa. E ci chiediamo come e quando abbiamo perduto la nostra innocenza di italiani e di europei, sacrificando al cinismo e all'incapacità degli arroganti la nostra umanità. Tutto avevamo immaginato nei momenti più bui della nostra storia, tranne di veder morire gente assetata di giustizia e di comprensione di fronte al freddo Leviatano dello Stato fiscale di polizia. Le tasse sono un'altra cosa.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31