Per una Repubblica presidenziale

Dopo lo smarrimento, la riflessione. Con un domanda. Alla luce di quanto è accaduto, non è forse venuto il tempo del presidenzialismo, dell'elezione diretta del capo dello Stato, della Nuova Repubblica, insomma? Di fronte allo spettacolo avvilente offerto dalle forze politiche, e da una in particolare, il Pd dissoltosi in tre giorni per aver scambiato l'elezione del presidente con il suo congresso, mi chiedo perché la Repubblica presidenziale debba restare ancora un tabù e non c'è straccio di politico o di intellettuale o di costituzionalista che prenda l'iniziativa di introdurre la discussione intorno a tale tema che non dovrebbe suscitare negative reazioni dal momento che in buona parte del mondo essa funziona magnificamente ed il Parlamento non soltanto legifera in piena libertà, ma esercita un controllo sugli atti presidenziali più di quanto il nostro Parlamento non faccia su quelli dell'Esecutivo.

Il presidenzialismo da sempre è stato uno dei cavalli di battaglia della Destra italiana, ma non soltanto della Destra. Anche all'Assemblea costituente ci fu chi propose, senza successo, all'attenzione la "soluzione presidenzialista": i rappresentanti del Partito d'Azione e tra essi, in particolare, Piero Calamandrei e Leo Valiani s'impegnarono a fondo in una delle Sottocommissioni dell'Assemblea per far valere le ragioni del presidenzialismo. Negli anni Sessanta fu il repubblicano Randolfo Pacciardi ad imbracciare la bandiera del presidenzialismo al punto di essere accusato di sovversivismo e di tentazioni "golpiste". Agli inizi del decennio successivo furono alcuni "giovani leoni", come si definirono allora, della Democrazia cristiana, aderenti al gruppo "Europa '70", che posero all'attenzione le tematiche presidenzialiste. Poi venne la stagione socialista: politici come Bettino Craxi ed intellettuali come Luciano Cafagna rilanciarono, tra la seconda metà dei Settanta e gli inizi degli Ottanta, la necessità di operare un radicale mutamento della forma di governo. Non si può dimenticare, naturalmente, che il Movimento sociale italiano fece del presidenzialismo, fin dalla sua nascita nel dicembre 1946, uno dei temi centrali e più incisivi della sua propaganda istituzionale, da Costamagna ad Almirante.

Ricordo anche una fiorente pubblicistica che circa trent'anni fa rianimò il dibattito sul presidenzialismo grazie, soprattutto, all'attivismo del professor Gianfranco Miglio e del cosiddetto "Gruppo di Milano". La tematica presidenzialista, quindi, ha avuto lungo corso nella storia della Repubblica, sia da punto di vista dottrinario che nel dibattito politico. Il presidenzialismo non bisogna considerarlo come una sorta di contropotere, ma come un elemento di equilibrio e di riconoscibilità del processo di formazione della decisione che è uno dei fattori necessari alla modernizzazione del Paese. Da essa, dal momento decisionale "forte", non si può prescindere se si intende procedere alla modernizzazione sociale e delle strutture civili, se non si dotano , cioè, i centri decisionali di poteri efficaci che, al momento, non dimentichiamo che vengono esercitati da soggetti diversi dalla classe politica, e dunque privi di legittimazione democratica, come supplenti insomma, che agiscono sulla spinta di interessi personali o di gruppo. Il presidenzialismo, dunque, è un elemento di partecipazione, ma è anche di chiarificazione all'interno dei rapporti tra i poteri dello Stato.

Con la sua adozione si stabilisce una netta linea di demarcazione tra i controllori ed i controllati, tra potere legislativo e potere esecutivo. Il Parlamento può effettivamente esercitare un controllo sul governo avendo questi la sua fonte di legittimazione fuori dalle aule parlamentari. La formula della Repubblica presidenziale ha pure, oltretutto, una sua carica di suggestione quasi "mitica" perché avvicinando direttamente i cittadini al potere si produce un meccanismo di immediata comprensione proponendosi quale rottura rispetto ad un sistema come l'attuale dove le degenerazioni partitocratiche sconfinano nel trasformismo e nella lacerazione del patto fiduciario con gli elettori. Il presidenzialismo non va considerato, secondo alcuni suoi detrattori, come una sorta di contropotere rispetto agli altri apparati periferici dello Stato, ma quale elemento di equilibrio e di riconoscibilità del processo di formazione della decisione, controllata dal Parlamento, in un sistema di bilanciamento costituzionalmente rigorosamente previsto. Con la sua adozione si stabilisce una linea di demarcazione netta tra i controllori ed i controllati, tra potere legislativo e potere esecutivo. Il presidenzialismo non è una sfida, ma una proposta per immaginare una Repubblica nuova, dei cittadini e non dei partiti.

Jean Jaurés, socialista e democratico, sosteneva che la Repubblica non va soltanto difesa: va organizzata. Sono convinto che la migliore difesa della Repubblica e dei valori repubblicani stia nell'organizzazione delle sue strutture politico-istituzionali. Se la scelta presidenzialista resta sullo sfondo delle possibilità, declinata nel modo che si reputa più opportuno, credo sia una possibilità che non dovremmo lasciarci sfuggire. Sia pur tenendo presente che il contesto non è favorevole all'apertura di una stagione di riforme, ma che soltanto da un'Assemblea costituente, sottratta alla dialettica parlamentare ed allo scontro tra i poteri dello Stato, potrà nascere una Nuova Repubblica. La Repubblica degli italiani.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:41