L’entità dei crediti fiscali vantati dall’Erario dello Stato a fine 2022 ha superato la cifra record di un miliardo e centocinquanta milioni di euro. E continuano a crescere in termini nominali anche nel 2023. In valore numerico l’accumulo dei crediti ha raggiunto circa al 40 per cento del debito pubblico italiano. Purtroppo sono crediti che risultano solo contabilmente e in larghissima parte inesigibili. Tante imprese sono fallite perché non sono riuscite a incassare i propri crediti. Ciò nonostante, l’ente incaricato della riscossione continua a spedire le notifiche ai contribuenti, sostenendo i relativi costi di riscossione, che prevedono sanzioni, interesse e il recupero delle spese di notifica. Se una società privata riportasse in bilancio crediti non esigibili senza apportare le opportune rettifiche sulle possibilità di riscossione commetterebbe il reato di false comunicazioni sociali, in quanto non rappresenterebbe la reale situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. Il Governo di centrodestra dovrebbe affrontare il problema dell’enorme magazzino fiscale di crediti inesigibili o di dubbia esigibilità in maniera pragmatica e definitiva. Quanto di questo magazzino fiscale si può tradurre in incasso per le casse dello Stato? È logico continuare a contabilizzare crediti inesigibili?
Possono questi crediti diventare una risorsa straordinaria per la Legge di bilancio del 2024? Lo Stato dovrebbe adottare il medesimo criterio di valutazione dei crediti imposti alle imprese e alle banche. L’ammontare del credito erariale dovrebbe essere suddiviso in: crediti esigibili, incagliati e inesigibili. Dei crediti esigibili occorrerebbe verificare, come fa chi per professione si occupa del recupero dei crediti, verificare quali sono le concrete possibilità di pagamento ovvero quale quota di reddito prodotta può essere ragionevolmente destinata per pagare le rate delle imposte. E quindi parametrare la durata del pagamento alle reali possibilità di rimborso, con un pagamento di interessi ancorato al rendimento dei titoli pubblici. La stragrande maggioranza dei crediti fiscali che si sono accumulati nel tempo non sono esigibili.
Le varie rottamazioni che si sono succedute nel tempo hanno avuto successo per debiti fiscali e contributivi di ridotta entità che dilazionati in cinque anni hanno reso possibile il pagamento delle rate. Per importi più significativi un periodo di dilazione di soli 5 anni e acconti iniziali del 20 per cento come previsto dalla rottamazione quater determinerà un flop della rottamazione quater (il 10 per cento del debito complessivo dovrà essere pagato entro il 31 ottobre 2023 e un ulteriore 10 per cento entro il 30 novembre 2023). Sono certo che molti contribuenti saranno costretti a perdere l’occasione della definizione agevolata per il fatto che non disporranno delle due macro rate iniziali e saranno costretti a chiudere le loro attività. Un creditore intelligente deve sempre mettere in condizione il debitore di poter pagare. Se il debitore chiude l’attività il creditore rischia di perdere integralmente il proprio credito. Il ministro Matteo Salvini e leader della Lega ha parlato di “pace fiscale”. La sua non è una provocazione. È un ragionamento fatto con cognizione di causa.
Non sono però d’accordo con un intervento limitato a coloro che hanno debiti fino a 30mila euro. Occorrerebbe un intervento definitivo di condono fiscale tombale per tutti. Basterebbe analizzare le serie storiche statistiche di quanto l’Erario dello Stato è riuscito a incassare realmente dei crediti vantati. Un condono fiscale tombale parametrato alle percentuali di crediti effettivamente incassati dall’ente di riscossione permetterebbe una vera e definitiva pace fiscale. Il condono tombale permetterebbe entrate straordinarie funzionali ad approntare una non semplice Legge di bilancio per il 2024.
Aggiornato il 18 luglio 2023 alle ore 11:49