Ogni Paese ha i suoi punti di forza, uno o più settori nei quali eccelle e si impone a livello mondiale. Generalmente, in questi casi, i governi cercano di tutelare e, per quanto possibile, proteggere questi settori per favorire economia, sviluppo e occupazione. L’Italia sotto quest’aspetto è davvero un piccolo miracolo avendo numerose eccellenze in diversi campi quali cultura, turismo, moda, gastronomia, manifattura, industria, ricerca e così via. Spesso però, nel nostro strano Paese, avviene che governi miopi assaltino, con l’arma del fisco, proprio i settori di eccellenza per ragioni dettate da mere esigenze di cassa di breve periodo. La loro miopia non permette loro di considerare le conseguenze deprimenti sull’attività colpita che finiscono per determinare minori entrate erariali nel medio periodo e soprattutto, mandando in crisi un intero settore, fanno saltare le imprese, che in Italia sono spesso medio piccole, con gravi ripercussioni economiche, occupazionali e sociali. È avvenuto, ad esempio, nel 2011 quando il governo del professor Mario Monti introdusse la tassa sul possesso degli yacht, un errore fatale per il settore della nautica che determinò la fuga all’estero di circa 40mila unità da diporto che stazionavano e arricchivano porti e operatori italiani, mentre il settore dell’industria nautica registrò un calo di poco meno di un miliardo di euro nel 2012.
Il danno per l’erario fu enorme, l’imposta fu subito abolita ma il settore impiegò quattro anni per recuperare il fatturato perso che solo nel 2016 tornò ai livelli del 2011. Sempre quel famigerato governo poi attuò politiche e comportamenti assurdi (ricordate i raid della Guardia di finanza a Cortina) per cui chi deteneva suv, ville, gioielli e pellicce, nel migliore dei casi, finiva per essere additato come un incallito evasore con conseguenze negative sul mercato del lusso da sempre una nostra consolidata eccellenza. Ma Italia c’è un caso che ormai va avanti da 40 anni e colpisce il comparto dell’automobile che vale da solo oltre il 10 per cento del nostro Pil. Infatti, per i nostri operatori economici, la fiscalità sulle auto aziendali è estremamente penalizzante rispetto a quella in vigore negli altri Paesi europei. In percentuale la penalizzazione è mediamente superiore al 400 per cento. Facciamo un esempio pratico ipotizzando che due imprenditori individuali o due professionisti, uno tedesco l’altro italiano, acquistino un’autovettura del valore di 30mila euro oltre iva.
Già al momento dell’acquisto le prime differenze, perché mentre per il tedesco il costo effettivo di acquisto è pari a 30mila euro per l’italiano il costo effettivo diventa 33.960 euro. Questo perché mentre in Germania, come nel resto d’Europa, l’iva sulle auto aziendali è detraibile al 100 per cento in Italia è ammessa la detraibilità solo del 40 per cento dell’Iva. Giova ricordare che le direttive Ue prevedono la totale detraibilità dell’Iva sulle auto aziendali ma tali direttive stranamente sono sempre state ignorate dai nostri governanti. In dichiarazione dei redditi poi le differenze si accentuano ancora di più perché mentre l’imprenditore tedesco può portare in deduzione l’intera quota di ammortamento pari a 7.500 euro l’italiano potrà dedurre solo 903 euro pari al 20 per cento della quota di ammortamento calcolata su un valore massimo di euro 18.076. Quindi, al termine del periodo di ammortamento, il tedesco avrà dedotto tutti i 30.000 euro spesi mentre l’italiano avrà dedotto solo 3.615 euro. Insomma, l’imprenditore italiano riesce a dedurre meno di quinto rispetto all’omologo tedesco o spagnolo e meno di un quarto rispetto agli imprenditori francesi e inglesi.
Tutto ciò dovrebbe far riflettere i nostri governanti perché è evidente che l’allineamento della nostra fiscalità al resto dell’Europa avrebbe tutta una serie di vantaggi: ridurrebbe il gap concorrenziale che dal punto di vista fiscale vede i nostri imprenditori già abbondantemente svantaggiati rispetto agli imprenditori degli altri Paesi europei; aumenterebbe la convenienza fiscale incentivando imprenditori e professionisti ad acquistare un’auto nuova con maggiore frequenza e ciò avrebbe ripercussioni positive su tutto il sistema economico, entrate erariali comprese. Appaiono poi davvero senza senso alcune norme attualmente in vigore: l’iva sui motocicli con cilindrata superiore a 350 cavalli è totalmente indetraibile; se un’azienda assegna un’auto in fringe benefit a un dipendente può dedurre il 70 per cento del costo ma se la stessa azienda assegna il bene a un amministratore può dedurre solo il 20 per cento con gli stessi limiti dell’imprenditore individuale. Riteniamo quindi che occorra porre mano a una revisione della fiscalità del settore che allinei definitivamente il nostro Paese a quanto avviene nel resto d’Europa e accogliamo con favore e speranza le aperture in tema di fiscalità sugli autoveicoli aziendali prospettate dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo nell’ambito della legge delega sulla riforma tributaria.
Aggiornato il 31 gennaio 2023 alle ore 10:55