Lo svolgimento della nostra attività di dottori commercialisti a volte ci pone, purtroppo, in una posizione privilegiata per constatare l’assurdità di situazioni che chi decide di fare impresa nel nostro Paese deve sopportare quotidie. Il caso riguarda un datore di lavoro al quale il dipendente comunica di voler rassegnare le dimissioni per motivi del tutto personali, in quanto deciso a ritornare nella sua regione di provenienza. Decisione più che legittima che il datore di lavoro accetta con rammarico vista la necessita di avvalersi dell’opera di questo dipendente e visto l’investimento economico e di tempo effettuato in corsi di formazione necessari per lo svolgimento delle mansioni. Dovrà quindi cercare, a stretto giro, un nuovo dipendente e sostenere altri costi per formarlo. L’imprenditore, accettate le dimissioni volontarie, invita il dipendente a recarsi presso un Caf o un patronato per le incombenze a norma di legge: firmare il modulo di recesso del rapporto per la successiva trasmissione telematica al Ministero del Lavoro.
Il dipendente, dopo l’incontro al Caf di un sindacato, torna dal datore di lavoro comunicandogli, con tutta franchezza mista a ingenuità, il “sommo” consiglio ricevuto dall’impiegato del Caf: niente dimissioni volontarie, assolutamente sconsigliate, meglio partire tranquillamente per le ferie evitando di fare ritorno a lavoro alla riapertura dell’attività. In tal modo il datore di lavoro non potrà far altro che licenziarlo per giusta causa e il lavoratore riceverà così l’indennità di disoccupazione fino a un massimo di due anni. Consiglio subdolo, ma a modo suo, geniale. Il dipendente, contento della “dritta” ricevuta, opta per fare ciò che gli è stato suggerito. Il datore di lavoro, non avendo alternative, si vede costretto a licenziarlo e a pagare il ticket Naspi che attualmente e di circa 1.600 euro.
È di tutta evidenza l’assurdità di questa situazione (e di molte altre ancor più assurde) e il paradosso al quale il datore di lavoro deve soggiacere: danno economico dovuto alla perdita del personale formato, assunzione di una nuova risorsa e pagamento della Naspi per un licenziamento che non aveva alcuna intenzione di fare. E poi da stigmatizzare il comportamento di alcuni impiegati di Caf e patronati che non esitano a suggerire al lavoratore comportamenti che nella realtà dei fatti finiscono per configurare una vera e propria truffa ai danni del lavoratore e più in generale della collettività. Ma tali comportamenti finiscono anche per mettere in cattiva luce la maggioranza dei propri colleghi, che lavorano onestamente e tastano quotidianamente con mano disagi e distorsioni del sistema. Finalmente l’Inps, di fronte a comportamenti quali l’abbandono del posto di lavoro, sta incominciando a negare la disoccupazione al lavoratore e ci sono le prime sentenze che vanno in questa direzione.
Ad avviso di chi scrive sarebbe opportuno un intervento definitivo del legislatore che sancisca, senza alcun dubbio, che quando il licenziamento è ascrivibile unicamente a comportamenti soggettivi del lavoratore, ancorché a dimissioni “truccate”, non debba maturare diritto alcuno a percepire l’assegno di disoccupazione, sgravando anche il datore di lavoro dal pagamento de ticket Naspi. L’indennità di disoccupazione è giusta, è un sacrosanto diritto del lavoratore onesto, ma solo quando il licenziamento è da imputare all’azienda, per motivi economici, organizzativi e quant’altro. Al contrario, il suo utilizzo “furbesco” cagiona solo danni al datore di lavoro, a chi perde il posto di lavoro per colpe altrui e in generale alla collettività (contribuenti) chiamata a pagare il salato conto dell’assistenzialismo senza controlli che, sovente, sfocia in casi di parassitismo.
Aggiornato il 16 ottobre 2023 alle ore 10:58