La politica di espansione economica e commerciale cinese a ben vedere è costruita sull’utilizzo anche attraverso l’uso di una politica di favore del credito verso i Paesi con cui, progressivamente, sviluppa la propria influenza. Nella sostanza, grandi infrastrutture realizzate in Paesi terzi e funzionali alle attività commerciali cinesi sono costruite con un forte finanziamento a carico delle stesse istituzioni finanziari cinesi. Tuttavia, sono sconosciute le informazioni sui termini, le condizioni e sugli obblighi dei prestiti che vengono accesi da chi riceve questi prestiti. I contratti tra istituti di credito cinesi e i loro clienti governativi restano avvolti nel mistero, salvo rarissimi casi di cui si è potuto leggere qualche estratto.
Il motivo di tanta segretezza si è rivelato attraverso una serie di Report prodotti dai principali Think Tank e centri di ricerca, che hanno messo insieme un centinaio di contratti e li hanno potuti analizzare con attenzione. In quelli esaminati (riguardanti prevalentemente Istituzioni cinesi con 24 Paesi in via di sviluppo, con l’Africa, l’Asia, l’Europa orientale, l’America Latina e l’Oceania), ciò che si sono rivelate immediatamente anomale, sono state le clausole di riservatezza che impediscono ai mutuatari di rivelare i termini o persino l’esistenza del debito. Una seconda caratteristica, decisamente insolita, è quella degli istituti di credito cinesi che cercano di crearsi un vantaggio quasi assoluto su eventuali altri creditori, utilizzando accordi collaterali come l’istituzione di strumenti di controllo delle entrate governative ma sottoposte a controllo dal prestatore; inoltre, c’è una esplicita dichiarazione, per mantenere il debito fuori da ogni eventuale ristrutturazione collettiva, le cosiddette clausole “no Paris Club”.
Infine, un ulteriore passaggio mostra che le clausole di annullamento, sviluppo e stabilizzazione presenti in questi contratti consentirebbero, potenzialmente, ai prestatori di poter influenzare le politiche interne ed estere dei debitori. Certamente, se anche queste clausole potessero venire impugnate nelle sedi giudiziarie, l’azione cinese potrebbe limitare e complicare la eventuale gestione della crisi del debitore e complicare o addirittura negare la rinegoziazione del debito. E ciò si rappresenta quando, evidentemente, non è complessità di poco conto realizzare che i contratti cinesi consentirebbero agli istituti di credito di Pechino di influenzare le politiche interne – ed estere – dei Paesi debitori.
Nel complesso, i contratti analizzati utilizzano un approccio creativo per la gestione dei rischi di credito e superare mediante garanzie forti eventuali inadempienze, mostrando la Cina come un attore forte e commercialmente esperto. I prestiti emessi dalla Cina negli ultimi venti anni hanno raggiunto cifre impressionanti, superando di molto i 700 miliardi di dollari. Pechino è ufficialmente il più grande creditore al mondo, il doppio della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale messi insieme. Dai Balcani alla Bielorussia, dal porto del Pireo alla costruzione di infrastrutture in Liberia, da una diga in Nepal ai finanziamenti logistici in Cambogia, dai centri culturali in Algeria a una ferrovia in Kenya e fino alle costruzioni del mercato portuale di Gibuti. Diverse Istituzioni internazionali stanno denunciando che i prestiti cinesi non vengono inseriti nelle statistiche ufficiali né sono registrati da istituti di sorveglianza multilaterali o da agenzie di rating. Pechino agisce erogando i prestiti direttamente agli appaltatori cinesi presenti in un dato Paese, ottenendo:
l’azzeramento del rischio che il Governo destinatario del prestito spenda in modo improprio questo patrimonio;
il denaro resta esclusivamente all’interno del Sistema cinese;
i governi in via di sviluppo si illudono di ricevere direttamente questi grandi capitali, ma in realtà i fondi arrivano direttamente agli appaltatori cinesi all’estero mentre al Paese ospitante restano solo i debiti, che ricadono direttamente sulle popolazioni locali.
Non è secondario ricordare che quasi tutti questi “investimenti” sono in realtà prestiti finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche nei settori delle telecomunicazioni o dei trasporti. In maniera più o meno consapevole i Paesi che entrano in questo meccanismo, stanno accettando di indebitarsi e pagare, perché Pechino possa realizzare la propria Via della Seta.
(*) Direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Internazionale per la Pace, delegazione di Roma
Aggiornato il 18 maggio 2021 alle ore 17:02