Visioni, “Demon City”, un compiaciuto film d’azione ultraviolento

Una mattanza di 106 minuti. Demon City – Onigoroshi è uno spietato film di vendetta girato come un compiaciuto film d’azione ultraviolento. Tra yakuza e familismo, tra eredità e rimpianto, tra dannazione e superstizione. In realtà, il lungometraggio firmato da Seiji Tanaka, visibile su Netflix, si ispira, in maniera ossessiva, alla brutalità del manga omonimo di Masamichi Kawabe che lo ha ispirato. Ma laddove l’autore del fumetto riesce a rendere perfettamente la complessità psicologica dei personaggi, il regista fallisce, totalmente disinteressato a restituire l’umanità necessaria per una migliore comprensione del dolore della perdita. Il film racconta le vicende di un sicario, Shuhei Sakata (un monocorde da Toma Ikuta), che ha appena portato a termine il suo ultimo incarico di morte per conto del boss Akira Fujita (Tarô Suruga), sterminando una banda della Yakuza. Ma quando Shuhei Sakata si dice pronto a iniziare una nuova vita con la moglie Aoi (una tenera Mai Kiryû) e la figlia Ryo, il suo desiderio di pace viene barbaramente infranto da un gruppo di assassini mascherati, noto come Kimen-gumi. Gli uomini irrompono nella casa del sicario annunciando un cambio di strategia per la città di Shinjo, una versione nipponica e degradata di Gotham City. Shuhei Sakata assiste, inerme, al massacro della famiglia. Anch’egli viene ferito mortalmente con un proiettile in testa. Ma, come la Sposa (Uma Thurman), l’uomo sopravvive miracolosamente. Si risveglia, dopo dodici anni di coma, con un unico obiettivo: vendicarsi degli assassini che hanno annientato la sua famiglia. La vendetta sanguinaria non si arresterà di fronte a nessuno. Ma, una verità sconvolgente, metterà in discussione la sua condotta.

Il 37enne cineasta nipponico mette in scena un autentico bagno di sangue, con striature d’orrore. Ma, a differenza del testo di culto da cui trae origine, il film delude sotto ogni aspetto, nonostante le musiche originali siano firmate dal leggendario chitarrista Tomoyasu Hotei, noto al grande pubblico per aver composto Battle Without Honor Or Humanity, musica inclusa nella colonna sonora di Kill Bill. Naturalmente il coinvolgimento del musicista non è un caso. D’altronde, che Demon City – Onigoroshi sia, cinematograficamente, un omaggio quasi dichiarato al celebre film di Quentin Tarantino è del tutto evidente. Tuttavia, nonostante la storia di vendetta i legami tra una pellicola e l’altra terminano qui. L’ironia, il grottesco, la violenza stilizzata tarantiniane sono ben lontane dal tono piatto e dall’approdo narrativo scelto da Seiji Tanaka. Demon City – Onigoroshi è un concentrato di violenza asfissiante in cui non c’è mai spazio per una presa di coscienza. Per una riflessione autocritica sul male. Shuhei Sakata è una sorta di automa dedito al delitto. Anzi, il delitto è l’unica sua forma espressiva. Le sue gesta di inaudita ferocia richiamano volutamente anche l’Eric Draven del Corvo e il Frank Castle di The Punisher. Le uccisioni si moltiplicano. Il sangue scorre copioso e inesorabile. Ma se Alfred Hitchcock decide opportunamente l’uso del bianco e nero Psycho e se la stessa strada, 43 anni dopo, viene scelta da Tarantino per girare la scena dello scontro tra la Sposa e gli 88 folli di Kill Bill il motivo attiene proprio allo sguardo etico-estetico. Seiji Tanaka, con tutta evidenza, rifugge i dilemmi morali e si concentra esclusivamente sull’effetto coreografico della violenza iperrealista. Le vittime Shuhei Sakata cadono lungo le strade, gli edifici e i palazzi di una città anestetizzata all’orrore.

Aggiornato il 14 marzo 2025 alle ore 18:59