“Tre modi per non morire”: uscendo dalla caverna

Se crediamo che le ombre cinesi proiettate sulle pareti della caverna plutoniana siano il “reale”, allora l’umanità è perduta. Ma, anche gridare che “Il re è nudo” può provocare una reazione mortale contro chi lo sostiene, perché il Potere si nutre di terrore e superstizione, e non ammette altre verità oltre le proprie. Queste e molte altre considerazioni, esternate con voce sapiente e a tratti potente da Toni Servillo nel suo monologo Tre modi per non morire – Baudelaire, Dante, i greci (in scena al Teatro Argentina fino o al 19 gennaio), con i testi di Giuseppe Montesano, scrittore e traduttore, rappresentano un viaggio a ritroso nel tempo per liberare l’oggi dalla sua disperazione nichilista, avvolgente come un sudario di tenebra. Si inizia con Charles Baudelaire che con i suoi Fleurs du mal denuncia tra i primi le false certezze di un’umanità che si vergogna della sua carnalità e nega le sue perversioni intime, in cui la bellezza naturale interpretata poeticamente viene sacrificata sull’altare del conformismo e del materialismo dilagante. Laddove, cioè, l’utile condanna alla disfatta totale il bello. Così come la rivoluzione haussmanniana della città di Parigi ne cancella il cuore medioevale, per decretare il folle trionfo della modernità nella metropoli urbana, cui si dedicano con entusiasmo le nuove correnti artistiche. Baudelaire, da vero dandy modernista, si dà alla bella vita, frequenta le boite parigine e sperpera la sua eredità con donne di malaffare, passando a latere di un’umanità sofferente, condannata a una vergognosa miseria di massa dall’avvento dello sfruttamento capitalista del lavoro umano.

La sua cifra stilistica è di partecipare alla rivoluzione abortita del 1848 e alle barricate, per poi disinteressarsene a seguito del suo fallimento. Delizia e tortura subite dall’ingerenza dei suoi familiari che, per evitarne la rovina finanziaria causata dal suo folle innamoramento per Jean Duval, una Venere nera haitiana attrice di teatro, otterranno una decisione giudiziale con la nomina di un amministratore di sostegno, incaricato di tutelare il patrimonio rimanente del giovane Charles. Decisione quest’ultima che spingerà il poeta a un primo tentativo di suicidio. Per lui, l’essenziale è frequentare, assaporare e annusare tutti i Fiori del male, perché poi l’amore (che somiglia molto a una tortura o a un’operazione chirurgica) è il gusto della prostituzione, che però viene presto corrotto dal gusto della proprietà! Ma Dante no, lui vede il peggio e il meglio nel futuro dell’umanità, reso infine radioso e trascendente dalla vista della bellezza femminile, per cui il cancro del mondo di quaggiù è l’ignavia, la vera peste spirituale che condanna l’uomo incapace di ideali alla costruzione di società ingiuste, prive dell’amore che nasce dal bello e dalla poesia. Società, soprattutto, dove non regna più lo spirito di Ulisse, della sua sete di conoscenza attraverso la scoperta e la curiosità innata e irrinunciabile per l’altro e l’altrove. Basta un legno fragile, una nave sola in mezzo a un infinito mare, passando tra Scilla e Cariddi, per arrivare a conoscere sempre più genti e civiltà che danno corpo e misura a un mondo fatto di paure.

Poi, ci sono i greci, i fondatori di città in tutto il mondo allora conosciuto, dove il cuore e il cervello di una civilizzazione unica e irripetibile si collocano e coincidono con il “teatro”, in cui si rappresenta tutto ciò che fa parte dell’essere umano, ritratto nelle sue pose scomposte o erette, in cui si alternano virtù e malaffare, luci e ombre, depravazione e santificazione degli eroi e delle loro gesta eroiche: tutto, cioè, ha diritto di essere rappresentato nell’arena che simula la vita vera. L’incesto, come il delitto, il connubio di dei che possiedono umani e viceversa, travestendosi da animali, tori e cigni, per tormentarne il corpo e l’anima: tutto questo è lecito mostrare all’interno della Rappresentazione del mondo e del suo immaginario. Non sono ammesse vergogna e pudore, che tendono a nascondere, a negare la natura umana, da guardare invece diritta negli occhi, per esorcizzarne il male e far trionfare il bene, conoscendo a fondo l’una e l’altra cosa, che sono in ognuno di noi, giusto o ingiusto che sia.

L’arte, infine, solo l’arte, la bellezza e l’amore possono ancora salvare un’umanità alla deriva, posseduta dai moderni demoni del capitalismo finanziario e della totale omologazione verso il basso, indotta e provocata dalla tecnologia moderna, che ha sostituito lo spazio carnale con la sua devastante, planetaria numerizzazione digitale dell’esistenza. Noi, oggi siamo i nostri Avatar. Baudelaire, Dante e i greci ci invitano a gettare la maschera, per essere noi stessi in carne e ossa, affinché le relazioni tra individui tornino a essere presenza fisica, interscambio, mutua comprensione e rispetto per l’Altro da sé, per il suo pensiero, per la sua natura.

Aggiornato il 14 gennaio 2025 alle ore 18:16