“Ciao Renato. Lo stare chiusi e isolati in casa, senza neppure poter mettere i piedi fuori la porta, accresce, almeno in me che ho superato i novant’anni, il numero dei ricordi. In più, di fronte alla politica di un Governo che non governa non ci rimane altro che sognare”.

“Questo di tanta speme oggi ci resta! La politica di casa nostra è fatta di chiacchiere, di scontri, di trasformismi che avrebbero fatto invidia a Proteo, il dio marino uso a mutare aspetto e divenuto simbolo di opportunismo, di fronte ai continui cambiamenti di scena di un teatrino in cui ciascuno recita a soggetto e i personaggi sono tutti in cerca di autore”.

“E pensare che nella nostra storia non sono mancati esempi di unità e di concordia civile, se non in tutta la penisola o in tutte le regioni, almeno in qualche città. Nella Firenze del Rinascimento non si costruiva edificio, non si dipingeva o scolpiva una figura o non si scriveva una poesia senza che il popolo intero non vi sentisse dentro la sua partecipazione. Per i fiorentini ogni opera d’arte conteneva in sé sola tutta la città. In quel periodo nemmeno gli odi più violenti delle fazioni in lotta riuscivano a far dimenticare agli abitanti di essere parte di una medesima famiglia. Ogni cittadino sentiva spontaneamente l’obbligo di collaborare personalmente al bene pubblico. In Firenze, come nell’Atene di Pericle, arrivava sempre il momento in cui l’equilibrio veniva ristabilito con l’affermarsi di un avversario. Un bell’esempio di democrazia dell’alternanza. Quanto più il resto dell’Italia si frantumava, tanto più cresceva in Firenze la forza di coesione dei suoi cittadini”.

“Siamo tornati all’epoca dei Comuni: ogni Comune fa come gli pare”.

Quot capita tot sententiae, diceva Cicerone: Tante teste, tante opinioni. Da un lato è giusto che sia così, anzi, direi provvidenziale, perché se gli uomini la pensassero tutti allo stesso modo sai che noia. Orazio parlava di concordia discors, cioè di una diversità di opinioni che però mantenesse un popolo concorde, unito, almeno di fronte ai problemi più importanti. Si richiamava ad Empedocle, che concepiva l’universo come una lotta fra due principî contrarî, l’Amore e la Discordia”.

“Gli errori e i vizi del presente si combattono conoscendo quelli del passato. Se infatti è vero che il passato va ricordato per costruire il futuro, non per alimentare le discordie, è anche vero che se non si portano allo scoperto tutti i fatti, senza veli e ipocrisie, è difficile che le cose possano cambiare”.

Gl’Italiani, in generale, non si nutrono dei bei ricordi che pur ci sono nella Storia, politica, letteraria, artistica, non soltanto nostra, la quale, come diceva Vico, è la Storia di Dio. Prova a chiedere ai nostri politici di oggi chi era Vico: la filosofia, come la storiografia, non è pane per i loro denti, che sono sempre lì a digrignare per la rabbia e l’aggressività negli scontri delle loro opinioni (legittime, per carità, dicono spesso agli avversari ipocritamente, anche quando si tratta di menzogne), in un continuo e stressante contrapporsi di tesi e antitesi che non giungono mai ad una sintesi che possa in qualche modo soddisfare e rasserenare il popolo. La dialettica, la vera dialettica, tranquilla, serena, equilibrata, è un’arte che i nostri politici non conoscono”.

Leopardi scriveva che gl’Italiani passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue in modo grossolano e che in Italia la principale dote di chi vuole conversare è il mostrare con le parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso chi la pensa diversamente”.

Crispi diceva: È impossibile costituire in Italia un governo qualsiasi a causa delle risse fra i partiti, della disgregazione della compagine nazionale, della annebbiata coscienza dell’unità e della stessa ragion d’essere della patria. A proposito: hai finito di leggerlo Italiani strana gente?”.

“Ce l’ho proprio qui davanti. Tu e Diaconale avete fatto un bel lavoro: un ritratto degli Italiani con un aggettivo che ne riassume tutti gli aspetti”.

“Anche la tua sintesi nella prefazione non c’è male. Ma le mie sono perlopiù testimonianze: io della politica poco o nulla m’interesso. Quella di Arturo, invece, è tutta farina del suo sacco”.

“Lui nella politica ci sta dentro, è molto specializzato: segue gli avvenimenti quotidiani, ogni giorno scrive un articolo, con riflessioni acute e convincenti”.

“In Italia c’è bisogno di una nuova concezione della politica. Governare non significa lasciare all’angolo l’opposizione e non ascoltare le sue proposte, ma da parte sua l’opposizione non deve mettere sempre, per partito preso e aprioristicamente, il bastone fra le ruote. Maggioranza e minoranza devono collaborare, e quindi governare insieme: solo così non ci saranno più scusanti per nessuno e tutti i cittadini si sentiranno rappresentati nel governo della cosa pubblica, come i membri di una stessa famiglia, né ci saranno più delegittimazioni, criminalizzazioni, colpi di mano o di testa e operazioni di bassa macelleria”.

 

S’io fossi cittadin di un altro Stato,

americano, asiatico o giudèo,

tanto non mi dorrei d’essere nato

quanto mi spinge a far questo plebeo

 

volgo incivil che in libero Senato

cianciando siede, lùbrico museo

di varie lingue e di diverso fiato;

infida gente in tenero imeneo

 

con imbroglioni, furbi e scellerati,

uomini imbelli che si dàn la gogna,

squallidi volti, illeciti mercati

 

in un Governo che a nient’altro agogna

che non ritorni a pro dei deputati:

questa è l’Italia? E ancor non si vergogna?

(1948: Agli italiani eletti)

Aggiornato il 16 aprile 2020 alle ore 14:28