La divina Cleopatra nel cuore di Roma

Fino al 2 Febbraio 2014, il Chiostro del Bramante ospiterà un’affascinante e raffinata mostra di Cleopatra, autentico trionfo in pietra, ori, mosaici e affreschi dell’ultima Regina d’Egitto, prodotta e organizzata da Arthemisia Group e curata da Giovanni Gentili. La contaminazione di eleganza, raffinato senso della cultura e i culti esotici della regione del Nilo, con le loro divinità zooformi, penetrarono, in quel lontano 46 a.C., nel cuore delle classi agiate romane, le contaminarono e le condizionarono nei loro gusti. Un modo, quest’ultimo, di vendicare la volontà denigratoria augustea (lett.: una “damnatio memoriae”), di quell’Ottaviano Augusto che, lucido nel suo disegno di potere planetario, avrebbe avviato Roma verso la fine dell’Era Repubblicana.

Fu lui, come ricostruiscono gli storici, a ordinare ai suoi sicari di uccidere Tolomeo Cesare detto Cesarione, figlio di Cesare e Cleopatra, e frutto di un miracolo “ierogamico” (il Dio che prende le sembianze dell’amante dell’imperatrice), identico a quello della nascita dei gemelli che Cleopatra ebbe da Antonio. Perché lei, da regina, tutta sensualità e buonsenso (conscia che il suo regno non avrebbe più goduto di nessuna autonomia rispetto ai nuovi padroni di Roma), volle legare con il sangue due grandi regni e due civiltà, di cui una al tramonto, e l’altra ascendente con il dio Ra. E la Roma pagana, intorno alla seconda metà del I secolo a.C., si immerse nella lussuria delle forme nilotiche, a lei ispirate: matrone che si fanno ritrarre con acconciature e gioielli “cleopatriformi”, ideati da artigiani e orafi egizi, immigrati da Alessandria; case patrizie che ospitano mosaici e affreschi con scene di altri miti; imperatori romani ritratti in acconciature faraoniche, a simboleggiare l’avvenuta infeodazione (con la forza delle armi), sotto le insegne di Roma, dell’impero tolemaico.

La forza prepotente della vita traspira dalle rotondità e dalla solennità dei busti marmorei, che ritraggono nobili romani, imperatori, teste di Iside, scene di caccia con animali esotici, per poi sfociare, come il grande Nilo, nel passaggio all’Oltretomba. Cammino descritto, quest’ultimo, da stele incise come cammei e brocche della migliore arte orafa di tutti i tempi, con le divinità di accompagnamento e i paramenti di un potere che non intende tramontare, pur nella percezione dell’imminente fine del mito del Faraone, dio in terra. Il serpente, simbolo di fertilità, di potere e, di lì a poco, di perdizione (a seguito dell’avvento della mitologia mariana e cristologica), è simboleggiato dal sacro “ureo”, stilizzazione del cobra, che troneggia sulla fronte del faraone per incutere timore al suddito che lo osserva dal basso, in atto di adorazione. Come un liquido amniotico, i culti egizi s’infiltrano nel Pantheon romano, grazie alle assonanze isidee, della dea protettrice della navigazione, che darà la vittoria decisiva a Roma al termine della battaglia di Azio, destinata a segnare la fine dell’impero tolemaico.

Emozionano i bellissimi bassorilievi, in cui si sospingono verso il primo piano i caratteri del soma regale, dove la pettinatura rassomiglia a un fascio scalettato di minuscole squame. Lungo questa scia corrugata, lo sguardo risale affascinato dalle spalle ben tornite (accerchiate da pesanti collari in oro e pietre preziose), agli occhi allungati e a un profilo regale, che segna un volto determinato, indecifrabile come un dipinto leonardesco, in cui potere e femminilità si ibridano in una miscela destinata a travolgere di sensualità e fascino gli uomini più potenti del mondo di quel lontano I sec. a.C. In primissimo piano, lungo il percorso della mostra, emerge un finissimo mosaico in cui sono rappresentati - all’esterno della città fortificata - animali acquatici e scene di caccia.

La narrazione, che si svolge lungo una tessitura lineare, poggia su esili perle marmoree di colore, che rendono plastico il mastodontico ippopotamo, mentre due capiverde giocano scivolando, per cerchi concentrici, lungo le acque calme dello stagno; altre creature, fiori, anatre e pesci, danzano nella loro arte naturale, offrendo all’osservatore uno scenario in perenne movimento, figure antropomorfe comprese. Poi l’attenzione si cristallizza su quella testa priva di naso, del I sec. a.C., che ritrae una giovinetta regina con scarsi ornamenti e un ovale praticamente perfetto, con le sue orbite oculari prive di colore, ma non di luce, in un sequenza di chiaroscuri che restituiscono l’anatomia di un potere che si voleva divino. In effetti, la cosa ha del miracoloso, se si pensa che, nel costume egizio, i regnanti si sposavano tra fratelli. Eppure, in violazione dei pregiudizi dell’incesto, Cleopatra fu la più grande e ammirata protagonista del suo secolo. Poliglotta, colta e sensuale divenne, da allora, prototipo di femminilità, che la bellissima mostra di Arthemisia esalta e conserva nelle sue molteplici sfaccettature. Un evento per tutte le età e culture.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:35