Zuppa di pomodoro su vetro

Non ho mai amato particolarmente Vincent van Gogh. A parte l’opera che personalmente considero il suo capolavoro, ovvero La notte stellata, custodita al Museo d’arte moderna di New York, tutte le altre mi lasciano abbastanza indifferente. Ma questo non significa certo che sia giustificabile ciò che ancora una volta è avvenuto, seppur fortunatamente con danni minimi, al noto dipinto de I Girasoli.

Quindi, mentre a Roma si celebra una mostra a Palazzo Bonaparte sul pittore olandese, la cui immagine onirica campeggia satura di colore ancora nei fotogrammi di quel magnifico film, Sogni, di Akira Kurosawa, che gli dedica appunto un episodio, I Girasoli subiscono un tentativo di aggressione da parte di due attiviste del movimento ambientalista “Just stop oil”, che hanno versato sopra una zuppa di pomodoro.

Con saggia preveggenza, tenuto conto anche del considerevole valore del quadro, l’opera era protetta da un vetro che ha impedito alla zuppa di pomodoro della Heinz di portare gravissimi danni all’olio su tela. Ovviamente, nessuna forma di protesta, né ambientalista né d’altro genere, può giustificare un simile gesto vandalico, laddove peraltro una simile azione dimostra ancor più l’immane e insana ignoranza di chi l’ha compiuta. Con gusto del paradosso, avrei voluto suggerire alle due “combattenti” di utilizzare almeno una Campbell soup in modo da ricordare Andy Warhol e confrontare così i due artisti, ma non pretendiamo troppo. Per simili idee è necessario avere, almeno, una conoscenza della materia. Quindi costoro, “pasionarie” del movimento di protesta britannico contro l’uso di combustibili fossili, per contestare i rincari energetici della politica inglese hanno cercato di emulare il gesto vandalico che fu, molti anni fa, di László Tóth nei confronti della Pietà di Michelangelo nella Basilica di San Pietro, e di altri più frequenti e psicotici che, ciclicamente, si scagliano solitamente verso La Gioconda al Louvre.

È notorio che tali gesti abbiano sempre come bersaglio opere d’arte iconiche e note a chiunque e che raramente, invece, interessino dipinti o sculture meno conosciuti dal grande pubblico. L’importante è il gesto e fare scandalo per attirare l’attenzione. Ma in questo caso non vi è né la follia “messianica” di Tóth né il gusto irriverente di fare i “baffi alla Gioconda” (su una copia stampata, non certo sull’originale) di Marcel Duchamp, quanto l’utilizzo improprio di un’opera d’arte che – come questa di van Gogh – è non soltanto patrimonio di tutta l’umanità, ma anche una vibrazione poetica del doloroso sentire di un uomo che, in fondo, sta dentro l’anima di molti altri uomini che non sono però a loro volta in grado di portarla fuori attraverso un tubetto di colore steso su una tela. Una simile protesta, che potrebbe anche essere legittima, si può applicare colpendo qualcosa che deve elevare lo spirito dell’uomo? Non credo per nulla.

Oggi Vincent van Gogh, con questo gesto, nella sua angosciata disperazione che lo condusse al suicidio a soli trentasette anni – cifra curiosa che lega tra loro molti e differenti artisti, a cominciare da Raffaello per passare al Parmigianino e via via fino ad altri – è stato ucciso una seconda volta. Ucciso dalla stolidità e dalla violenza che si applica sulle creature indifese, quali sono appunto le opere d’arte, anche quelle che non ci piacciono e che comunque meritano attenzione e rispetto, perché sono la raffigurazione dell’intimo e umano sentire.

La zuppa di pomodoro nella sua imprevista pubblicità, se già non lo è stata, scivolerà via dal quel vetro e con essa svanirà anche il ricordo di questa inutile, e come tale vana, fallita azione di un mondo che non sa più levare lo sguardo verso il cielo di una notte stellata. E che crede di ribellarsi alla sua ineluttabile fine, violando la bellezza e la poesia in nome di ideologie altrettanto nefaste e dei loro obiettivi da combattere.

Aggiornato il 17 ottobre 2022 alle ore 10:45