Il disappunto sociale in metrò

Prendere la metropolitana non è soltanto utile, e, consentitemi, molto chic. È istruttivo.

Salire sulle carrozze del metrò è come immergersi nel mare della socialità più variegata e composita, che rappresenta un segmento significativo del mondo in cui viviamo.

La maggior parte delle persone compulsa lo smartphone; una piccola minoranza legge. Altri intraprendono conversazioni e dibattono sui temi del giorno.

Oggi si parla di magistrati, ai quali tocca in sorte lo stesso trattamento riservato ai politici, con tanto di aggettivazioni negative associate ad anatemi infernali.

Lo so che è sbagliato e che la realtà è molto diversa. La metropolitana, per chi se lo fosse dimenticato, non è l’Aula Croce del Tribunale di Torino, dove si discetta elegantemente (e a vuoto) di politica giudiziaria e di progetti di riforma del sistema. La metro è come il bar: il termometro del disappunto sociale.

Oggi tocca ai magistrati, come prima (e ancora) è toccato a noi. Ascoltando i commenti, ci si rende conto di quanto sia inutile replicare che la quasi totalità dell’ordine giudiziario (come quello forense, del resto) è sana e svolge seriamente il compito assegnatole. La metro è totalizzante; generalizza e condensa in 7 fermate una crisi che viene da molto lontano.

Ho visto l’elettore medio, pur nascosto dietro una mascherina chirurgica, e ho capito che non c’è scampo per nessuno. Io scendo alla prossima. Prendo un mezzo di superficie. La sentenza è stata deliberata più velocemente di quanto non abbiano fatto i togati (veri) con Berlusconi.

Verdetto identico.

Aggiornato il 02 luglio 2020 alle ore 11:45