Sergio Mattarella: l’eloquenza della sobrietà (mandato 2015-2022)

Sergio Mattarella (Palermo 23 luglio 1941) dopo gli studi al Liceo classico San Leone Magno di Roma, nel 1964 conseguì la laurea in Giurisprudenza all’Università “La Sapienza” con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi su La funzione di indirizzo politico; quindi conseguì il titolo di avvocato e si iscrisse nel relativo albo del Foro di Palermo nel 1967. Fin dalla gioventù orientò il suo impegno morale, civile e in ultimo politico, nel solco della tradizione del cattolicesimo sociale, come comprovato dai suoi scritti, in un percorso di costante coerenza che poneva l’autentica crescita della singola persona, solo e soltanto in un costante ancoraggio con quella dei suoi simili. La politica, pertanto, altro non poteva significare se non impegno per la promozione dei più deboli, verso la compiuta affermazione della loro piena dignità sociale, in autentica sintonia con il messaggio evangelico. Insegnò diritto parlamentare presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo fino al 1983, anno in cui si collocò in aspettativa per essere entrato a far parte della Camera dei deputati, ove rimase fino al 2008, ricoprendo anche numerosi incarichi di governo (ministro dei Rapporti con il Parlamento; ministro della Pubblica Istruzione; vice presidente del Consiglio; ministro della Difesa).

Fu eletto presidente della Repubblica il 31 gennaio 2015, rivelandosi da subito costantemente attento alla distinzione dei ruoli, vuoi per scrupolosità temperamentale, che per l’esperienza maturata da professore di diritto parlamentare e da giudice costituzionale, per cui non si lasciò mai “tirare per la giacca” nella tenzone politica e nelle correlate polemiche, senza lasciar filtrare il suo sentire, in quanto se aveva qualcosa da dire, la manifestava apertamente. Della sua lunga militanza nella Dc, partito cui era legato anche per una lunga tradizione familiare, a partire dal padre Bernardo, che era stato più volte ministro nei Governi del Dopoguerra, per continuare con il fratello Piersanti, vittima del terrorismo mafioso il 6 gennaio 1980, va ricordato in particolare il vibrante intervento che svolse nel novembre 1991, allorché parlando ad Assago sul tema centrale del Convegno su delle regole che moralizzassero la vita interna del partito, affermò che la questione morale era “la questione stessa della Democrazia cristiana”.

Sostenne quindi la necessità che la Dc tornasse alle radici ed all’esempio di personalità egregie come don Sturzo, De Gasperi, Moro e Zaccagnini, criticando, al contempo, lo scadimento del costume politico: “La politica dell’insulto – disse – dell’invettiva, della offesa, dell’irrisione, della demonizzazione dell’avversario è un segnale evidente di un indebolimento della ragione, un sintomo di malessere della democrazia. Una malattia che potrebbe avere esiti infausti”. Seguì la condanna più sferzante su chi, proclamandosi cristiano in politica, non doveva avere “la faccia poco rassicurante di chi chiede una tangente, la arroganza di chi crede che tutto si possa comprare”. Perorò in ultimo “il contenimento delle spese e la effettiva impermeabilità alle influenze e ai contatti di mafia e camorra”, rammentando a margine dell’intero discorso che sarebbe stato sufficiente ricordarsi dei Dieci comandamenti, e del decimo in particolare “Non rubare”.

Era stato vicesegretario della Dc sino al 1992, nel qual anno aveva diretto il giornale del partito Il Popolo. L’anno seguente fu relatore della legge elettorale che introdusse il sistema maggioritario corretto da una componente proporzionale, nota con il neologismo maccheronicamente classicheggiante di “Mattarellum”. In merito al suo sentire circa la dialettica che doveva ispirare il rapporto tra maggioranza ed opposizione, rimase memorabile il suo intervento da deputato alla Camera, nel corso della discussione per la modifica della seconda parte della Costituzione, durante il quale, dopo aver ricordato la nobile cornice ideale che aveva caratterizzato tale confronto ai tempi della Costituente, stigmatizzò che a fronte del comune impegno di allora per la redazione della massima Carta, ora i membri del governo e la maggioranza che lo supportava, stavano facendo la “loro” Costituzione. Salì al Colle portando nel volto le stigmate del dolore per il fratello, cui tre anni prima si era aggiunto quello per la prematura scomparsa dell’adorata consorte, Marisa Chiazzese, madre dei tre figli Bernardo, Laura e Francesco. Volto nel quale traspariva un’affettuosa malinconia, peraltro illuminata dai raggi di un sorriso garbato e mite, accompagnato da uno sguardo di acuta e percepibile intensità, che fugava ogni eventuale apparenza di formale distacco.

Quanto alla sua ricca e non ostentata umanità, comunque percepibile anche nei piccoli gesti durante gli incontri con i sofferenti, Mattarella attraverso le sue iniziative solidaristiche rivolse costantemente la sua attenzione alla “persona umana”, condividendo intensamente i dolori dei singoli come della collettività. Tra i primi atti del suo mandato, scelse di rinunziare all’appannaggio presidenziale, come Enrico De Nicola, dando in tal modo un esempio concreto di sobrietà agli italiani tutti, in una fase di profonda crisi economica, aggravata da quella morale, che aveva investito alcuni politici compromessi nella ragnatela della corruzione e degli abusi di potere. Il 3 febbraio 2015, in occasione del Messaggio di insediamento, volle ricordare la lunga crisi che aveva inferto ferite al tessuto sociale del Paese, aumentando le ingiustizie, generando nuove povertà, producendo emarginazione e solitudine. Quanto alla Pubblica amministrazione, si rendeva necessaria una maggiore apertura alle nuove tecnologie, come alla sensibilità dei cittadini, aspiranti ad una maggiore trasparenza, partecipazione, semplicità negli adempimenti burocratici, coerenza decisionale. Bisognava recuperare il senso della politica come servizio al bene comune, per riaccostare alle Istituzioni quei tanti cittadini che le avevano avvertite lontane ed estranee.

Vivere la Costituzione significava ottenere giustizia in tempi rapidi, tutelare le donne da ogni forma di violenza e discriminazione, promuovere i diritti dei disabili, diffondere un senso forte della legalità, lottando la mafia e la corruzione come priorità assolute. Occorreva rilanciare l’Unione europea per una vera unione politica, atta anche a fronteggiare il dramma di milioni di profughi in fuga che cercavano “salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia”. La Costituzione andava interpretata dinamicamente come “Costituzione vivente”, senza avventurarsi in pericolose teorizzazioni di una “Costituzione materiale” dai limiti nebulosi. Sin dagli esordi della presidenza, tenne in particolare considerazione il ruolo della Donna, affermando: “Senza le donne l’Italia sarebbe più povera e più ingiusta. Siete il volto della solidarietà e della coesione sociale. In merito al tema del lavoro, sottolineò da subito che il divario tra Nord e Sud recava il rischio del “delinearsi una vera e propria società di esclusi, divisa dal resto della comunità da una barriera di diritti e di opportunità negate”. Intervistato da Marzio Breda sul tema dell’inaugurazione di Expo 2015 a Milano, affermò che il primato acquisito dalla finanza sull’economia reale stava producendo divaricazioni insopportabili tra ricchi e poveri: “Il Pil che misura il benessere – avvertì – non può limitarsi al solo dato monetario, ma deve comprendere il valore dei diritti, della cultura, della coesione e sicurezza sociale”.

Il 2 giugno, festa della Repubblica, il presidente annunziò che il Quirinale sarebbe stato aperto alle visite tutti i giorni, tranne il lunedì e il giovedì. Un concetto ricorrente nei discorsi presidenziali, è quello della sinergia tra le Istituzioni pubbliche e private, per ottenere maggiori risultati in comune. Al IX colloquio internazionale sul tema “Non c’è giustizia senza vita”, il presidente evidenziò che la rieducazione del condannato era un lungimirante obiettivo che poteva determinare le condizioni per il recupero dei detenuti, e per una maggiore sicurezza di tutta la società. All’inaugurazione dei corsi della Scuola superiore della magistratura per l’anno 2016, il presidente affermò che i “requisiti” del giudicare, richiedevano “imparzialità, correttezza, riserbo, equilibrio, senso della responsabilità, capacità di esercitare, nei limiti della norma, l’attività interpretativa fedele ad essa”. La “ragionevolezza” non era soltanto un canone costituzionale che doveva improntare l’azione del Legislatore, ma anche un parametro che doveva guidare il giudice ad operare il bilanciamento spesso richiesto dai diversi valori tutelati dalla stessa Costituzione. Durante la “La Giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia”, sottolineò che il rispetto degli altri, quanto ai diritti fondamentali, non poteva essere condizionato dall’orientamento sessuale, perché tra i compiti della Repubblica vi era quello di garantire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione.

Coerentemente con la filosofia condivisiva che sempre lo aveva guidato, nella tarda estate del 2016 Mattarella dispose di aprire al pubblico anche la suggestiva Tenuta presidenziale di Castelporziano, nel rispetto dei delicati ecosistemi, con i suoi boschi ed i tre chilometri di spiaggia incontaminata. Di straordinaria importanza politica e culturale fu il viaggio del presidente in Cina, dove all’Università “Fudan” di Shanghai auspicò che si creassero tante “Vie della Seta” approfondendo le relazioni tra Italia e Cina, a partire dalle Istituzioni accademiche, essendo le rispettive comunità di studenti “la più sicura garanzia” che i due Paesi non si sarebbero più” persi di vista”. Dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, trascorsero due mesi e mezzo di trattative, sino alla nascita del governo Conte il 23 maggio, che fu la più problematica della storia repubblicana, dovendosi basare non più solo sugli equilibri – rectius equilibrismi – tra le due forze che lo supportavano (Lega e Cinquestelle), ma anche sull’affidabilità dell’Italia in ambito comunitario, della quale divenne supremo garante il capo dello Stato.

In una situazione politica e giuridica difficilissima, quale non si era mai registrata nei settant’anni dalla nascita della Repubblica, fu particolarmente atteso il messaggio presidenziale di fine anno nel 2018, di straordinario equilibrio, nel corso del quale evocò preliminarmente l’etica della responsabilità, individuale e comunitaria, comportante il “condividere valori, prospettive, diritti e doveri”, rifiutando l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creavano ostilità e timore, in un ambiente in cui – viceversa – tutti si sentissero rispettati e rispettassero le regole del vivere comune. All’iniziativa “Molte fedi sotto lo stesso cielo” e “Bergamo scienza”, Mattarella ricordò che l’intelligenza artificiale non poteva “essere disgiunta dalla coscienza e questa dal pensiero umano, che non migra dal supporto biologico del cervello di ciascuno di noi a un chip elettronico. Oggi – osservò – l’etica inizia a lambire i territori sconosciuti dell’Intelligenza artificiale. La macchina è uno strumento dell’uomo e sarà l’intelligenza umana sempre e comunque a dover governare”. Senza giri di parole, il presidente svolse sul tema della giustizia – senza naturalmente generalizzare – uno dei discorsi più fermi e determinati del suo mandato. “La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia – disse – sembra presentare l’immagine di una magistratura china su se stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi”. Andava avviato un percorso di riforma, volto “a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali”. Nella Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità, il presidente affermò: “Il livello di civiltà di un popolo e di uno Stato si misura anche dalla capacità di assicurare alle persone con disabilità inclusione, pari opportunità, diritti e partecipazione a tutte le aree della vita pubblica, sociale ed economica”.

Alle tensioni dovute al Coronavirus, si aggiunsero quelle derivanti dalla crisi di governo venutasi a determinare con l’uscita del partito di Matteo Renzi (Italia viva) dall’Esecutivo Pd-M5s, nella quale circostanza il presidente venne “strattonato” più volte da parte della stampa, da taluni opinionisti, da alcuni politici, perché in qualche modo uscisse da un silenzio che veniva interpretato – a seconda delle variegate impressioni – come debolezza, eccesso di riservatezza, irrisolutezza. Falliti tutti i tentativi di risolvere la crisi del governo Conte bis, il capo dello Stato uscì dal tradizionale riserbo con un discorso di rara incisività e di grande chiarezza, sul dramma politico ed economico che stava attraversando l’Italia al suo interno, come nelle relazioni internazionali. Evidenziò che a fronte del fallimento della creazione di un nuovo governo su base politica, si era ventilato il ricorso ad elezioni anticipate, ma avvertì al riguardo che il lungo periodo di campagna elettorale sarebbe coinciso con la crisi sanitaria.

Entro il mese di aprile andava presentato alla Commissione europea il piano per l’utilizzo dei grandi fondi europei, ed era fortemente auspicabile che ciò avvenisse prima di quella data di scadenza, perché quegli indispensabili finanziamenti venissero impegnati. Occorreva poi provvedere tempestivamente al loro utilizzo, per non rischiare di perderli. Nel perdurare di un clima politico di pericolosa stagnazione, il capo dello Stato dopo una serie di consultazioni preliminari conferì al professor Mario Draghi l’incarico per la formazione del nuovo Governo, che si compose sia di figure di sperimentata esperienza tecnica, che di esponenti politici. Il capo dello Stato, già estremamente parco nel suo “dire”, alla vigilia del “semestre bianco” richiamò con significante energia i competenti Organi costituzionali al puntuale rispetto della massima Carta, reiteratamente aggirata in quanto innanzi a “provvedimento governativo ab origine a contenuto plurimo”, volto esclusivamente ad introdurre misure di sostegno economico post pandemico, in sede di conversione erano stati introdotti dei contenuti non pertinenti, singolarmente evidenziati dal presidente. Il 29 gennaio 2022 Mattarella nonostante l’indisponibilità ad un secondo mandato, reiteratamente manifestata con dichiarazioni e fatti concludenti, venne rieletto presidente della Repubblica con 759 voti. Ne sono seguite poche e sobrie parole, come è suo costume, ma tanti inespressi e pur percepibili significati, circa la vita da intendersi come missione al servizio del bene comune, innanzi al quale gli stessi affetti familiari divengono necessariamente – e non senza pena – recessivi. “Salus suprema rei publicae ante omnia...”.

Aggiornato il 15 gennaio 2024 alle ore 16:53