Cosa si nasconde dietro il “ce lo chiede l’Europa”?

Non c’è ormai ambito nel quale, soprattutto in sede politica e governativa, non si sente riecheggiare: “Ce lo chiede l’Europa!”. Dai conti pubblici al lavoro, dall’ambiente ai servizi, dal demanio alle imprese, persino sugli alimenti e sull’abbigliamento, è un’espressione che viene adoperata a sostegno di interventi pubblici, soprattutto pervasivi e gravosi, oltre che impopolari. Riguardata però da diversa prospettiva, essa appunta chiaramente e legittima in capo all’Europa il relativo potere e pretende così, nello stesso tempo, di dare risposta alla domanda, posta dai filosofi della politica: “Chi deve comandare?”. È questo un interrogativo al quale sin da Platone (considerato il teorico paradigmatico più antico dello storicismo, secondo cui devono governare i migliori e i sapienti, formati e selezionati istituzionalmente) sono state fornite le più svariate risposte e altre ancora potrebbero essere fornite. Lo stesso esprime, tuttavia, una pretesa insostenibile e irrazionale e appare piuttosto il prodotto di una teoria della sovranità ancorata a dottrine totalitarie.

Infatti, presuppone l’esistenza di qualcuno, di qualche gruppo che sarebbe venuto al mondo con la sovranità sugli altri e rimanda, pertanto, alla ricerca di ciò che non esiste. Un’importante versione moderna di siffatte dottrine è quella del popolo eletto, una delle più semplici e antiche forme di storicismo, un insieme di filosofie oracolari e totalitarie, alla quale il fascismo e il nazismo, da una parte, e il marxismo, dall’altra, erano ideologicamente ancorati. Al popolo eletto, i primi avevano sostituito la razza eletta, considerata come lo strumento del destino e alla fine destinata a dominare la terra; il secondo, invece, aveva sostituito la classe eletta, per la creazione della società senza classi e, nello stesso tempo, come la classe preposta a governare la terra. Il loro potere, basato su un rigido autoritarismo, era legittimato dal monopolio della verità, dettata imperativamente da gruppi privilegiati, e dall’assenza di qualsiasi competizione culturale, politica ed economica, conseguenziale alla soppressione dell’autonomia individuale. In tale contesto, che ha espresso il ritorno alla gabbia tribale della società chiusa, nella quale lo Stato assorbe la società e la totalità del corpo sociale predomina sugli individui, si è sviluppata una mentalità anticapitalistica, limitativa della libertà individuale e avversa al mercato e alle esplorazioni dell’ignoto che esso permanentemente consente.

Come ha scritto Karl Popper, domandare “Chi deve comandare?” è irrazionale e fuorviante. Ignora, altresì, come sarà il potere esercitato. Essere un politico più preparato tecnicamente, più saggio, più carismatico, di per sé non determina cosa farà quel governante nell’esercizio del suo potere e non definisce se egli sarà uno statista, un demagogo, un populista o un autocrate. Le qualità che portano alla scelta, ad esempio, del più saggio non definiscono in che modo governerà, se secondo i suoi interessi o secondo quelli dei cittadini. Il potere viene esercitato obbedendo a una logica diversa da quella che ha motivato le scelte degli elettori. Inoltre, i governanti possono sviluppare progetti di potere in cui il carisma sia utilizzato con fini spuri, soltanto con lo scopo di mantenersi nel potere.

L’interrogativo da porsi è piuttosto l’altro: “Come controllare chi comanda?”, ovverosia: “Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che governanti cattivi o incompetenti facciano danni?”. È questa una domanda razionale, che esclude ogni paradosso ed esalta i principi ed i valori della società aperta, la quale rappresenta la vera alternativa ad ogni forma di autoritarismo e di storicismo, e il vero argine alla dilagante antidemocraticità della mentalità e delle ideologie contrarie al mercato. La società aperta, anche denominata “Grande Società” da Friedrich von Hayek e Adam Smith, è un fenomeno sociale complesso, che riflette una società libera, multietnica e tollerante. Essa accoglie al suo interno individui portatori di valori e concezioni filosofiche, religiose e politiche differenziati, anche contrastanti, i quali trovano un modo di vivere assieme e di cooperare per lo sviluppo e la crescita di ciascuno.

È, comunque, una società imperfetta perché, come ha ancora scritto Popper “non può esistere alcuna società umana senza conflitti: una siffatta società sarebbe una società non di amici ma di formiche”, la quale accetta qualsiasi gruppo e individuo, ad eccezione degli intolleranti, poiché quest’ultimi si pongono al di fuori dell’idea sociale basilare, quella della tolleranza. Se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi. Noi dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti”. La tolleranza, infatti, costituisce il principio fondamentale della società aperta, che si erge sui due pilastri della fallibilità della conoscenza umana, la quale esclude che qualcuno possa ergersi a depositario di un “punto di vista privilegiato sul mondo”, e del politeismo dei valori, che riflette la consapevolezza che, per quel che riguarda i valori ultimi, viviamo e vivremo in un mondo politeista, nel quale le norme di diritto, generali e astratte, delimitano, imprescindibilmente, i confini delle azioni umane.

La società aperta assume il legame inscindibile tra libertà politica e libertà economica, e tra democrazia, come sistema capace di assicurare la competizione tra proposte politiche differenti e, nello stesso tempo, come ha sottolineato Ludwig von Mises: “Rende possibile il pacifico adeguamento del sistema di Governo e del personale governativo ai voleri dell’opinione pubblica”, ed economia di mercato, che è il migliore strumento di coordinamento delle azioni individuali, ma è anche il più efficiente strumento di scoperta di quali siano i desideri e le preferenze degli individui, che sono liberi di utilizzare le proprie conoscenze per perseguire i propri fini, e del modo migliore per soddisfarli. Soltanto il mercato, attraverso il sistema dei prezzi determinato dal meccanismo della concorrenza, permette l’utilizzazione di quella enorme quantità di conoscenze che è dispersa tra milioni di individui, e che nessun pianificatore e nessun “programmatore” potrà mai possedere.

Esso rende possibile la libertà individuale, e il pieno e compiuto dispiegarsi dei principi e dei valori della società aperta, nella quale soggetti portatori di concezioni filosofiche e religiose diverse possono vivere assieme e cooperare liberamente su un piano di parità. Così stando le cose, occorre guardare al di là delle parole usate e delle espressioni impiegate, le quali spesso non sono innocue o neutrali ma possono creare confusione e disorientare, e persino celare fenomeni e situazioni di ben diversa portata e consistenza. È pertanto necessario prestare la dovuta attenzione nel decifrare correttamente i fatti e la realtà delle cose e le dinamiche sociali. In tal modo è possibile rilevare che dietro l’apparente inoffensiva frase, “Ce lo chiede l’Europa”, si cela la realtà di un’Unione europea che si è ormai incanalata verso la costruzione sempre più accelerata di un Superstato centralizzato, che pretende di imporre dall’alto regole omologanti per tutti, illiberali, minuziose e dettagliate. A discapito della libertà individuale, degli scambi volontari, della proprietà e del mercato. Gli esempi, purtroppo, si sprecano.

Aggiornato il 10 maggio 2024 alle ore 10:07