Gulliver tra i lillipuziani

Nessun commento, anche il più profondo, potrà mai essere totalmente all’altezza né render merito a questo Gigante (e non mi riferisco alla stazza, ça va sans dire). Come nessuna celebrazione, esclamata da chi lo ha ostacolato, vilipeso, sempre e comunque, negandogli qualsiasi spazio televisivo e non, e infine – commettendo la viltà più grande – non nominandolo Senatore a vita, non basta per essere assolti dinanzi al tribunale della storia, del rispetto e della dignità. Né ora, né allora.

Che poi l’allora qui è distante appena un battito di ciglia o un tiro di sigaretta; un anno è nulla per metabolizzare integralmente una mancanza così grande e triste. È un assordante silenzio e tanto altro.

Se questo Paese ed il mondo in generale può ritenersi molto più civile rispetto a quarant’anni fa, un grazie speciale ed un omaggio deve tributare a Giacinto, detto Marco. Se, al contrario, questo Paese può rammaricarsi di essere molto meno liberale, molto meno laico di altri, intrappolato nelle sabbie mobili del bigottismo, deve prendersela esclusivamente con se stesso e con l’indifferenza adottata dai tanti – quasi tutti! – che quando Pannella si batteva per un mondo migliore, dall’”alto” del loro pulpito costruito sulla più bassa pochezza morale, lo deridevano, nella migliore delle ipotesi.

La morte è la morte e non risparmia nessuno. Neppure chi ha combattuto, fino all’ultimo anelito di vita, per restituire o, nella maggior parte dei casi, regalare dignità agli emarginati, ai reietti, ai diversi; dignità perpetuamente calpestata da una società che vedeva (vede!) la diversità come un reato, come un crimine, bollando il diverso come un malato sociale.

Marco Pannella, per chi, come il sottoscritto, ha scoperto da ormai molti anni di convivere con i suoi stessi valori ed ideali, è presenza costante, nella sua inevitabile materiale assenza.

 

 

Aggiornato il 22 maggio 2017 alle ore 17:29