La notizia che Imane Khelif, pugile dell’Algeria nonché medaglia d'oro alle Olimpiadi di Parigi della scorsa estate nella categoria welter, non potrà partecipare ai prossimi Campionati Mondiali femminili di boxe (che si terranno a Niš in Serbia dall'8 al 16 marzo) è rimbalzata su tutti i media lo scorso weekend. La decisione è stata presa dall’International Boxing Association (Iba) perché “non soddisfa i criteri di idoneità a causa di livelli troppo alti di testosterone”.
Ora, è bene sottolineare che i criteri di idoneità vengono stabiliti tramite test di laboratorio ed è anche bene ribadire che si tratta dello stesso test eseguito nel 2023, per il quale sono nate tutte le polemiche intorno alla partecipazione dell’atleta nella categoria femminile alle Olimpiadi 2024.
Una “non notizia” quindi, se non fosse per due fattori: il primo è che Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo chiamato “Keeping Men Out of Women’s Sports” che impedirà alle donne transgender di accedere alle competizioni sportive femminili (tra cui, presumibilmente, le o-Olimpiadi di Los Angeles 2028); il secondo riguarda il fatto che nessuno si è premurato di verificare, almeno a posteriori rispetto alle Olimpiadi il fattore biologico primario per l’identificazione del sesso biologico alla nascita: Imane ha i cromosomi XX o XY?
Nel primo caso, apparterrebbe alla categoria di persone intersessuali: quali migliore occasione per portare avanti una battaglia per la creazione di una categoria ad hoc, in modo da rendere lo sport davvero inclusivo per tutti?
Nel secondo caso, trattandosi evidentemente di persona nata biologicamente uomo, Imane avrebbe avuto la possibilità di portare avanti le istanze delle atlete e degli atleti transgender, chiedendo l’istituzione di categorie ad hoc in modo da estendere la fruizione del mondo dello sport davvero a tutti.
Invece Imane, cavalcando l’onda del successo personale e quella woke che vorrebbe tutti fluidi, si è semplicemente definita donna con l’appoggio di tutti i benpensanti radical chic che pur di non essere tacciati di qualcosa (razzismo, chiusura mentale, non essere alla moda?) si sottomettono a qualsiasi assurdità. E chissene frega di tutti gli atleti intersessuali o transgender (no, non è la stessa cosa) esclusi dalle competizioni. E alla malora tutte le lotte per la parità di diritti, quelle per affermare che le persone nate biologicamente donne hanno gli stessi diritti delle persone nate biologicamente uomini. Sì, parliamo di femminicidi ma, in fondo, a chi importa, delle questioni inerenti alla giustizia sociale? La “guerra tra poveri” è molto comoda per far sì che nulla cambi, soprattutto a livello di diritti. Con buona pace delle donne, e anche di tutte le persone che non possono o non vogliono essere categorizzate nei due sessi biologici di maschile e femminile.
Eppure, lo sport aiuta a rendere evidenti certe differenze macroscopiche che per qualche ragione rimangono sempre marginalizzate. Anche nelle ultime competizioni di atletica, per esempio, in occasione del World Indoor tour, la competizione più attesa, i 60 metri, ha visto due trattamenti totalmente diversi nella presentazione della gara: le donne hanno disputato una normale sfida sportiva, gli uomini sono stati accolti da fuochi d’artificio e dalla pista illuminata a festa.
Ma che succederebbe se una persona nata con i cromosomi XX si svegliasse una mattina e si definisse uomo? Tanto per fare un esempio, Elliot (ex Ellen) Page, a seguito del suo cambio di genere, viene definito come uomo trans non uomo e basta. Perché a parti inverse non è la stessa cosa?
Aggiornato il 11 febbraio 2025 alle ore 13:38