Atalanta non era una dea, benché questo sia sempre stato l’appellativo usato per designare la squadra bergamasca il cui nome riflette il mito. Eppure… Già, eppure ieri Dublino è avvenuta di fatto una apoteosi – letteralmente: una ascesa verso le divinità del calcio – dove una bella storia della provincia italiana si è fatta leggenda sotto un cielo d’Irlanda – per dirla come Fiorella Mannoia – diventato un oceano di nuvole e luce di fuochi d’artificio.

E ora il 1963 non sarà più uno spauracchio utile per ricordare l’ultimo trofeo alzato al cielo (la Coppa Italia, vinta per 3-1 contro il Torino, tripletta di Angelo Domenghini), ma diverrà una data quieta da riporre in un palmarès d’antan. L’Atalanta è cresciuta, è diventata una squadra – tutta la squadra: società, tecnico, giocatori – matura, vincendo questa Coppa Uefa (dire Europa League, anche foneticamente, non ha lo stesso fascino).

Sì, è successo veramente. Una partita in cui è confluita un’esperienza lunga 8 anni durante la quale Gian Piero Gasperini ha pennellato tattica e strategia sotto le Alpi orobie, raffinando talenti grezzi e rendendoli così delle gemme preziosissime. Nominarli tutti è impresa ardua: alla fine del rosario, di sicuro qualche grano verrebbe tralasciato, tanta è l’abbondanza di classe passata in questa terra lombarda.

Arriviamo però a ieri sera, con questo “uomo di stile” - traduzione maccheronica di Ademola Lookman – capace di disegnare sartorialmente parabole vincenti con un pallone che sembrava radiocomandato. Una tripletta per far gioire una città intera, diventata capitale europea del calcio. È un capolavoro? Sì, certo che lo è. Destinato a durare ancora a lungo.

Aggiornato il 23 maggio 2024 alle ore 20:02