Ritratti. “Manos de piedra”, buon compleanno Roberto Durán

Settantadue anni oggi. Gli anni passano ma quel soprannome resta: manos de piedra. Roberto Durán, sul ring, faceva male. Non poteva essere altrimenti, se nasci a Panama, a El Chorillo: nemmeno 20mila anime, cittadina di pescatori e tanta fame. Quella fame che consente a Durán di scegliere il pugilato come meta, schivando vie che potevano portare alla criminalità. Un barrìo duro, ma è il suo barrìo. Dove cresce. E si forgia.

Un figlio della strada. Della scuola non se ne parla. Metterà a referto 119 incontri: ne vince 103, 70 per ko. Occhi glaciali, sguardo da indio, combattente vero. Un violento. Una macchina da guerra. Per quattro volte è campione del mondo in quattro categorie diverse (leggeri, welter, superwelter, medi), per molti è il peso leggero più forte di sempre. È convinto che sarebbe diventato un top. E così sarà.

Diventa professionista giovanissimo. E giovanissimo si ritrova dietro le sbarre. Cadute, risalite, non un santo. Ma poi, in questa vita, chi lo è? Protagonista di incontri leggendari, contro avversari che avrebbero fatto paura persino a un leone. La rivalità con Sugar Ray Leonard è materiale da libri di scuola.

Eppure lui è lì, a testa alta. E nessuna paura. Soprattutto se vieni da El Chorillo: “Combatti per non morire. La boxe è soprattutto questo, può anche umiliarti. Devi avere il corazón. Se non vi piace, evitatela”.

Aggiornato il 16 giugno 2023 alle ore 17:08