Malpelo, per Giovanni Verga, si chiamava così perché aveva i capelli rossi. E aveva i capelli rossi “perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone”. Eppure, c’è chi con i suoi capelli rossi, tra i rossi di Manchester, ha stampato il proprio nome nel libro delle leggende. Per molti resterà il silent hero, l’eroe silenzioso. Per tutti è stato, è – e sarà – Paul Scholes.
Il 16 novembre ha compiuto 48 anni. Ma sembra ieri quando fece la sua comparsa insieme a David Beckham, Ryan Giggs, Nicky Butt, Gary e Phil Neville. Una combriccola di talenti, the class of ’92, che dette nuova linfa allo United. Lui, Paul, era uno dei fab six. Ma soprattutto rappresentava un giocatore che – per dirla alla sir Bobby Charlton, altro santone dalle parti dell’Old Trafford – era “bellissimo da guardare”. Controllo di palla, precisione nei passaggi. E molto altro. Zinedine Zidane, alla domanda “come ci si sente a essere il centrocampista più completo al mondo?”, rispose “non lo so, chiedetelo a Paul Scholes”. Potrebbe bastare questo per finirla qui ma sarebbe riduttivo. Perché a parlare ci sono le 718 presenze e i 155 gol con i red devils, la pioggia di trofei – sette Community Shield, undici Campionati inglesi, tre Coppe d’Inghilterra, tre Coppe di Lega, due Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Coppa del Mondo per club – e ventidue stagioni con una sola maglia.
Una bandiera? Sì. Ma di quelle toste. Nato a Selford, nella contea della greater Manchester, piccolo di statura ma gigante in mediana, ha il compito di non far pesare l’assenza di Roy Keane – “there is only one Keano” – ragazzo di Cork, fiore maledetto sbocciato nella terra del trifoglio e motore instancabile di sir Alex Ferguson. Conquisterà i gradi sul campo, nonostante l’asma. Dopotutto, erano i suoi avversari a rimanere senza fiato.
Impossible is nothing recitava uno spot. E la dimostrazione l’ha data Paul Scholes, che da ragazzino con quel fisico gracile non faceva preludere a un futuro da grandi palcoscenici. A quanto raccontano, non era nemmeno veloce di passo. Ma era rapido di pensiero. Appenderà gli scarpini al chiodo una prima volta, nel 2011, dopo la finale di Champions persa contro il Barcellona. Verrà richiamato perché, a detta di Ferguson, era il più forte giocatore inglese degli ultimi 20 anni. E tornerà in campo nel derby vinto 3-2 contro il City. Da lì un’altra Premier, un ulteriore rinnovo.
Dirà basta una seconda volta – e sarà quella definitiva – con l’addio di sir Alex. Un addio per chiudere il cerchio. Un addio da campione.
Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 17:29