Le God

Una pinta di birra prima di andare a dormire. Tutto alle spalle, senza schemi e senza pensieri. Andando a ritroso, sentendo l’odore della terra e dei sassi di quel campo in periferia, dove ognuno di noi cerca di imitare i campioni, quelli bravi, quelli che vanno in televisione. Gli eroi.

Poi c’è una sfera a parte, quella più interessante: la cerchia dei brutti da vedere, in senso estetico, ma sublimi con il pallone. Niente tatuaggi, niente piercing, pochi fronzoli. Facce sparagnine con dietro storie con la “S” maiuscola. Tipo Kim Vilfort, “quello coi baffi”, che con la Danimarca conquista il campionato Europeo di calcio del 1992. E poi lui, luce della città portuale, santo protettore dell’Hampshire. In poche parole Matthew Le Tissier. O meglio, Le God.

Chi cresce – a livello ormonale e non solo – a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e vuole andare oltre Diego Armando Maradona e Marco Van Basten, può buttare un occhio sulla First Division, poi divenuta Premier League, per cercare altro. Tra leggende metropolitane che riempiono le sale giochi e motorini truccati, in un intreccio adolescenziale di vite vissute e fidanzatine amate, gira voce di un tizio con indosso la maglia numero 7 – quella di Nino che non deve aver paura di tirare un calcio di rigore – le cui prodezze spopolano nella perfida Albione. Magie su magie a disposizione del Southampton, squadra con cui si lega a vita.

Amato, venerato, osannato. Le Tissier ha il fisico dell’operaio disilluso, del giocatore da torneo dei bar con cui, poi, vai a fare il giro di quegli stessi bar. Personaggio sublime, che segna contro chiunque e dovunque. Centrocampista da sballo che detta legge in campo mentre dagli inferi sir Alex Ferguson plasma i Red Devils del Manchester United. In Nazionale, però, non lascia il segno. Peccato. Appesi gli scarpini al chiodo, diventa commentatore televisivo. E tutti a pendere dalle sue labbra, come un oracolo.

Come sto facendo io, davanti a una pinta di birra, prima di andare a dormire. E, forse colpa dell’alcol, non so, quasi mi sembra di vedermelo davanti quel ragazzone dall'andamento lento, anzi finto-lento. Lui posa il bicchiere e con un doppio passo si smarca dai miei occhi, dirigendosi all’uscita. A me non resta che pagare il conto, mentre penso a una delle poche cose intelligenti lette su Facebook: “La punizione per gli inglesi, per averlo sempre ignorato, è doverlo rimpiangere per l’eternità”.

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 17:35