L’attacco alla Sinagoga di Roma, 43 anni fa veniva ucciso Stefano Gaj Taché

L’antisemitismo è il sismografo della civiltà in un Paese. È vero oggi, alla vigilia di quella che sembrerebbe una tregua nella Striscia di Gaza; era vero due anni fa, quando i terroristi di Hamas hanno ucciso e torturato circa 1.200 persone rapendone altre 250; ed era vero nel 1982, quando il consigliere comunale di Roma Bruno Zevi accusò la politica capitolina e nazionale – con questa similitudine – di essere “malata” di una sindrome profonda. Lo stesso antisemitismo in senso lato che ci ha permesso solo nel 2015, con il discorso di insediamento al Quirinale di Sergio Mattarella, di riconoscere l’attentato al Tempio maggiore di Roma. Nel quale morì il bimbo di appena due anni Stefano Gaj Taché. I terroristi di Al-Fatah non uccisero “solamente” un ebreo, ma anche un cittadino italiano. Una ferita che è stata ricordata fin troppo tardi dalla politica dello Stivale.

Come ha spiegato dieci anni fa Dimitri Buffa, “l’attentato alla Sinagoga in cui perse la vita il piccolo Taché maturò all’epoca in un clima di odio internazionale fomentato dalle organizzazioni di sinistra, anche eversive, favorevoli alla causa palestinese”. Un clima che travalicò i confini della politica e trovò terreno fertile anche nelle piazze europee, dove la retorica anti-israeliana si intrecciava con una più ampia ostilità verso l’ebraismo. In Italia, le indagini su quell’attentato si rivelarono lente, frammentarie e, alla prova dei fatti, inefficaci. A riassumere con lucidità le omissioni istituzionali fu Gadiel Taché, fratello maggiore di Stefano – anch’egli ferito nell’attacco – in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2011: “L’assassino Abdel Al Zomar, condannato all’ergastolo dalla giustizia italiana, ha vissuto indisturbato nella Libia di Mu’ammar Gheddafi dopo essere stato consegnato ai libici dalla Grecia a metà degli anni Ottanta. So che in tutti questi anni l’Italia è stata molto blanda nel chiedere l’estradizione di Al Zomar. Adesso si trincerano dietro cavilli formali. Con Gheddafi al potere, fino all’ultimo nessuno ha preteso che gli assassini di mio fratello fossero assicurati all’Italia”.

La storia giudiziaria di Osama Abdel Al Zomar è emblematica delle ambiguità e delle debolezze dell’epoca. Arrestato in Grecia il 20 novembre 1982, fu trovato con un carico di esplosivo nascosto in un’auto con targa di Bari, durante un controllo di frontiera al valico di Kipri-Evrov, quasi in territorio turco. Le autorità italiane, grazie a una serie di riscontri investigativi e alla testimonianza della sua fidanzata italiana, riuscirono a identificarlo come uno dei responsabili materiali della strage del Tempio maggiore. Tuttavia, dopo un solo anno di detenzione in Grecia per traffico d’armi, Al Zomar fu rilasciato e riparò in Libia, nonostante “le timide richieste di estradizione avanzate dall’Italia al governo greco”. Nel 1989 la Corte dAppello di Roma lo condannò in contumacia all’ergastolo per il reato di strage, ma le sue tracce si persero definitivamente in Libia, dove rimase protetto fino alla caduta del regime di Gheddafi. Un epilogo che sottolinea quanto la giustizia italiana sia rimasta per decenni impotente di fronte a un atto di terrorismo che colpì nel cuore della capitale ebraica d’Italia.

Infine, nel giorno della commemorazione del piccolo Stefano, Victor Fadlun, il presidente della Comunità ebraica di Roma, ha portato una corona alla Sinagoga per omaggiare la vittima del terrorismo palestinese. “Ricordiamo l’attentato del 1982, quando purtroppo fu assassinato Stefano Gaj Taché e vi furono decine di feriti, anche gravi. Nel contempo è una giornata nella quale si innesta una speranza. È di poche ore fa l’annuncio della conclusione di un accordo tra Israele e Hamas con l’intervento americano. Quindi si spera, col cuore, nel ritorno degli ostaggi a casa e nella ricomposizione del quadro mediorientale, sempre però col cuore straziato al pensiero di quelle persone assassinate e in condizioni davvero disumane, è qualcosa che ci colpisce e che non potremo mai dimenticare”, ha detto Fadlun dinanzi al Tempio maggiore.

Aggiornato il 09 ottobre 2025 alle ore 14:27