
La strada per l’inferno, si sa, è lastricata di buone intenzioni. Capita così che il tentativo di inclusione e accettazione, senza alcuna regola, delle cosiddette minoranze si trasformi in un boomerang.
In Canada si è scatenato un putiferio per il caso di Frederick Radcliffe, che ora si chiama Carissa Marie Radcliffe. Radcliffe era stato condannato per pedofilia e abusi sessuali, con “pena indeterminata” per reati sessuali in cui figura anche lo stupro di una ragazzina di 13 anni.
Radcliffe, all’epoca ancora maschio cisgender, ha deciso così di avvalersi della legge canadese che consente di cambiare sesso tramite una semplice autocertificazione: per questo è stato trasferito nel carcere femminile Grand Valley Institution for Women (GVI), in Ontario. Qui avrebbe violentato due donne compagne di cella, che hanno presentato denunce ufficiali al Correctional Service of Canada.
Ora Radcliffe è stato trasferito in un reparto di massima sicurezza in attesa degli sviluppi delle indagini. Ma non si capisce se in un carcere maschile o femminile.
È bene rimarcare come Radcliffe sia stato dichiarato “dangerous offender” nel 2010, proprio a causa della sua condotta sessuale ai danni di numerose ragazzine. Solo nel 2017, dopo che ha visto respinto il suo ricorso alla condanna, ha iniziato ad identificarsi come donna transgender.
Fermo restando che toccherà agli investigatori fare chiarezza sul caso specifico, rimangono due perplessità. La prima riguarda la presenza di detenute trans (quindi nati biologicamente uomini) nelle prigioni femminili. La seconda, che in realtà precede la prima, è la possibilità di intraprendere il delicato compito di una transizione di genere con una semplice autocertificazione.
Ma se per anni si è parlato di percorso di transizione, se per anni sono stati chiamati in causa professionisti della salute – dai medici agli psicologi – forse potremmo ipotizzare che non sia stato solo per bigottismo.
Perché, sinceramente, questi episodi gettano discredito su tutto il mondo Lgbtq+ contro il quale, personalmente, non ho proprio nulla in contrario. Ma, da donna etero e cisgender, ne critico fortemente il cipiglio ideologico che ha deciso di abbracciare da qualche anno a questa parte.
Care transfemministe, perché non scendete in piazza a protestare per dissociarvi da questi personaggi inquietanti? Perché non scioperare per rivendicare la vostra identità di persone transgender invece di pretendere di essere considerate come persone cisgender? Questa differenza terminologica l’avete inventata e voluta voi. Perché non la pretendete anche nella realtà dei fatti?
Aggiornato il 05 marzo 2025 alle ore 10:19